E in effetti, costruita “a cento passi” dall’antica basilica paleocristiana di S. Maria Aprutiensis, poco dopo del furioso sacco della città da parte di Roberto di Loretello, nel 1156 o 1157, la Cattedrale rappresenta il limite architettonico in un impianto urbano che sembrò definitivo quando ancora vigeva e valeva il senso tutto medievale della città unitaria; quando la vita pubblica s’identificava con la vita del singolo e di tutti i cittadini. Quando, insomma, la Chiesa potente, con il suo vescovo-conte, dotato di ampio potere spirituale non disgiunto da un enorme potere temporale, vegliava sulla civitas e su l’urbs.
Al suo fianco, sul lato orientale, il Palazzo Civico; sul lato occidentale le grandi sostruzioni dell’Anfiteatro romano. Perciò, solenne, la Cattedrale instaura una serie di piani pittorici che si profondano fra le possenti murature variamente in penombra, a tenere come librato lo stesso Palazzo del Comune. A tal punto che, così come è collocata, non può non partecipare, in modo aperto, alla vita cittadina in ogni suo aspetto, integrandone l’essenza civica con il segno della fede. Collocato tra le piazza Orsini e Martiri della Libertà, l’antico manufatto dedicato a S. Maria e a S. Berardo, impone la sua presenza con le scalinate che, a sud e a nord, ne costituiscono il fondale maggiore. A sud, nell’edificio voluto da Guido II (tra lo scorcio del sec. XII e la metà del secolo successivo), che fa della fronte quasi una pala d’altare senza nascondere ma creando il più vivo orizzonte; a Nord con l’altra scalinata e l’accesso incompiuto del raddoppiamento voluto da Nicolò degli Arcioni(1317-1355), che troneggia sulla lunga piazza cittadina.
Forse anche nella contemperanza di poteri e nel trascorrere del tempo di visioni millenaristiche risiede la matrice delle fasi di intervento successive, e pressoché continue, nella Cattedrale a esprimere, nei secoli, un rapporto di volta in volta diverso con la città e la piazza, determinato anche dalle continue superfetazioni che finirono per nasconderne l’impianto originario sino alla metà del Novecento. Singolare storia di un manufatto chiesastico al pari delle fasi della sua progettazione con la scelta della sua collocazione e le testimonianze di un cospicuo riutilizzo di materiale decorativo romano che, nel nostro caso, acquista il colore e il sapore di un’azione di spoglio programmata di monumenti romani con riutilizzo delle stesse lastre, in tempi di carenza di materiali di pregio, nelle cortine murarie interne ed esterne della Cattedrale.
Una scelta, che seppure supportata dalla necessità di chiudere il fronte settentrionale, creando una quinta architettonica di forte impatto visivo nella città medievale ormai ristrettasi al cuore dell’antica città, a difesa e baluardo della sua Chiesa e del suo vescovo, impose la soluzione di molti problemi progettuali e strutturali. Chiara la stratificazione costruttiva della cattedrale nelle sue successive fasi: dalla guidiana, di matrice romanica, cui si innesta l’arcioniana di stile goticheggiante, la cripta abbandonata nel 1739, la Cappella di S. Berardo di stretta ascendenza barocca, e numerosi intervanti restaurativi raccontano una storia plurisecolare cui fanno eco lastre decorate e elementi architettonici, provenienti da edifici romani; pitture che, dal Duecento ripercorrono le vicende artistiche. prima di botteghe dalle molteplici “mani” e, più tardi, nel corso dei secoli, di notevoli artisti abruzzesi, oltre che italiani e stranieri; il “paliotto” di Nicola da Guardiagrele, quattrocentesco capolavoro dell’oreficeria italiana, antependium dell’attuale altare principale; sculture in legno, pietra e marmo, a partire dalla Madonna con il Bambino del “Maestro della Santa Caterina Gualino”, dal Cristo patiens del Crocefisso, opera di un ignoto quanto importante artista d’area centro-italiana, sino alle sculture a bassorilievo in gesso di Ulderico Conti (1884-?), alla vetrata di Duilio Cambellotti (1933), al magnifico Coro, opera di intagliatori abruzzesi della prima metà del ‘700, oltre che il monumentale altare intagliato della sagrestia, del XVII secolo, entro cui troneggiano le tele coeve del Majewski.
Opere tutte che danno un mirabile esempio di committenza “alta”, sedimentata all’interno della Cattedrale, a testimoniare i fasti delle passate stagioni. Così chi procede, percorrendo la navata centrale con una percezione tutta romanica dell’approccio dell’uomo alla divinità, progressivo e mediato dal clero, o si fermi al disotto della splendida cupola ad osservare l’innesto tra la chiesa guidiana e quella arcioniana, svettante per contrappunto verso il cielo alla conquista diretta del Dio da parte del fedele, attraversa spazi commentati da oggetti d’arte che testimoniano della capacità taumaturgica dell’uomo in grado di creare meraviglie, forgiando materia, costruendo tavolozze cromatiche, manipolando oggetti.
E, all’esterno, il meravigloso portale dall’alta ghimberga, del maestro Deodato (1332), ornato di splendide sculture a tutto tondo, e lo svettante campanile, di matrice cosmatesca. Perciò la chiesa diventa un inno alla fantasia creativa dell’uomo e, con esso, a quel Creatore che tanta capacità seppe infondere nella sua creatura.
Paola Di Felice
Docente universitaria, già direttore del Polo Museale città di Teramo