A cosa ti sei dedicata?
«Mi sono occupata di nutrimento, fisico e spirituale. È fuori di dubbio che siano due cose che vanno di pari passo: non si nutre lo spirito senza nutrire il corpo, ma un certo tipo di nutrimento può aiutare a raggiungere un benessere spirituale. Ho sperimentato anche lunghi digiuni, non senza conseguenze; poi mi sono avvicinata alla macrobiotica, un concetto che mi ha portato a vivere un rapporto molto forte e diretto con la natura, rapporto che è al centro dei miei ultimi lavori. È stata un’esperienza, una fase della mia vita. Che poi essenzialmente coincide con la ricerca, per me è difficile scindere la vita dall’arte. E un’altra esperienza, derivata da questa, è stata la ricerca sulla follia, un tema che da sempre mi affascina tantissimo. Per raggiungere uno stato psicofisico che mi aiutasse a capire quella condizione mi sono spinta così oltre fino al punto di vivere un’esperienza in Psichiatria».
Un’esperienza pericolosa. Ma hai sempre bisogno di “toccare con mano” quello che cerchi?
«È stato necessario. Forse ho rischiato un po’, ma è stata un’esperienza che mi ha dato moltissimo. E comunque io sono un’integralista, in un certo senso. Se mi dedico a qualcosa lo faccio al cento per cento, senza compromessi. Anche perché vivo molto nel presente, non sono in grado di fare programmi a lunga scadenza. Quindi oggi sono così, magari un domani riuscirò a lavorare su qualcosa con minore coinvolgimento».
Intanto però hai rischiato parecchio. Come sapevi che ne saresti uscita?
«In realtà non lo sapevo. Ma non ho un approccio masochistico all’arte (e alla ricerca), non sono di quelli che si autodistruggono, ho un forte istinto di conservazione; e poi ho molta fede: in un’entità, qualcosa di superiore, insomma una “mano” che mi salva ogni volta che mi spingo troppo oltre».
E magari oggi sei anche più matura. In cosa sei cambiata, con gli anni?
«Senz’altro ho raggiunto una maturità, ma soprattutto credo di essere cresciuta nella consapevolezza. Per esempio, restare “fuori dal giro” per un lungo periodo poteva essere penalizzante, ma per me non è stato così. Ora che sono tornata nel circuito dell’arte ho visto con piacere che nessuno mi aveva dimenticata, che è tutto tornato esattamente come prima. Credo sia la prova che se faccio il mio lavoro con passione, le cose “tornano” sempre».
Sfoglia lo speciale VarioART 2011 su Emanuela Barbi