La politica espositiva della sua galleria si basa su artisti consolidati, quelli che vengono ritenuti i maestri dell’arte contemporanea. Ha intenzione di proseguire su questa linea anche per il futuro?
Sì. Il programma sarà incentrato principalmente su autori contemporanei già affermati e artisti storici del Novecento, mettendoli in alcuni casi a confronto. Come abbiamo fatto in passato, ci occuperemo anche di alcuni artisti giovani. Quest’ultimo è un mercato che non seguo tanto come gallerista ma piuttosto come collezionista.
La galleria Rizziero è in attività da più di trent’anni, essendo stata fondata nel 1977. Lei si occupa di arte dal 1996. Com’è cambiata a suo avviso la professione nel corso di questo arco di tempo?
Già durante il liceo e l’università ho fatto esperienza in galleria lavorando part-time e seguendo le fiere. Successivamente ho iniziato ad occuparmi dell’arte a tempo pieno dal 1997 con l’apertura della galleria No Code a Bologna, dopo aver fatto un po’ di anni di lavoro all’estero in un settore diverso. In questo arco di tempo il lavoro è cambiato moltissimo. Oggi prevale un sistema nel quale fanno la parte del leone alcune grandi gallerie internazionali, soprattutto anglosassoni. Quelle italiane contano abbastanza poco, e non possono fare altro che ritagliarsi delle nicchie dove fare delle cose di grande specializzazione e qualità, differenziandosi dal lavoro più massificato dei grandi player del mercato. Questi spesso rappresentano artisti di fama internazionale per un pubblico di collezionisti composto ormai in larga parte da miliardari dell’est, che comprano sostanzialmente blue chip dell’arte perché trattate da certe gallerie. In questo contesto l’Italia purtroppo conta poco sia per la cronica assenza di istituzioni sia per la scarsità di musei prestigiosi sul territorio nazionale.
Le gallerie private fanno del loro meglio per sostenere l’arte contemporanea italiana, ma spesso le loro piccole dimensioni non permettono di ottenere grandi risultati. All’interno del più “casalingo” mercato italiano ci sono tuttavia bellissime realtà e piccole eccellenze, in cui esiste ancora un rapporto diretto tra artisti e galleristi. Come si declina questo discorso in un contesto ancor più periferico come quello abruzzese?
Le gallerie abruzzesi di oggi devono seguire la tradizione degli anni ‘70 e riconquistare un ruolo internazionale con delle proposte di grande qualità, che riaccendano nel miglior collezionismo internazionale il desiderio di venire a Pescara. C’è ancora spazio per un lavoro con artisti veri. Ci sono sempre artisti di grandissima qualità –sia italiani che stranieri– attratti dalla possibilità di fare una mostra a Pescara. Tuttavia è un mondo che dal punto di vista dell’economia dell’arte conta sempre meno, ma da cui spesso viene fuori l’intellettualità del lavoro degli artisti di oggi. La possibilità di Pescara risiede in questo; è evidente che non può che essere una periferia nelle economie dell’arte internazionale, come lo sono l’Italia e l’intera Europa. Il mercato maggiore sarà sempre più nell’area del Pacifico. Ciò non toglie che possano esistere –e speriamo che continuino– piccole realtà, in Italia come in altri paesi.
Qual è a suo parere l’importanza dello spazio espositivo per una galleria di arte contemporanea?
Lo spazio è fondamentale: spesso proprio dalla qualità di uno spazio si decide la possibilità di fare una mostra; frequentemente gli artisti vengono attratti da questo piuttosto che da un gallerista. Si tratta di un elemento di primaria importanza, soprattutto per una generazione –quella che viene dall’Arte Povera– che vi si rapporta in maniera privilegiata. Un artista può decidere di non fare una mostra in una galleria se non ne apprezza lo spazio.