Il mondo dell’automobile, dice Di Camillo, «è un settore affascinante in cui sono entrato per caso e non ne sono più voluto uscire, perchè presenta sfide sempre più complesse e articolate. E questa della Blowcar è stata solo l’ultima sfida, nuova e stimolante, che mi ha coinvolto negli ultimi quattro anni». Proprio quattro anni fa, infatti, Dario Di Camillo viene, metaforicamente, folgorato da uno scivolo gonfiabile, di quelli che si utilizzano in aeronautica per far scendere i passeggeri dagli aerei in avaria. «È stata un’illuminazione, un’idea che mi ha attraversato il cervello in un lampo. Ho pensato che dovevo applicare quella tecnologia al settore automobilistico per creare un’auto ecologica, leggera e rivoluzionaria». Il nome Blowcar deriva appunto da questa particolare tecnologia che utilizza una speciale gomma ad altissima resistenza chimicomeccanica che viene gonfiata per creare strutture complesse. «Addirittura avevamo cominciato a parlare anche di edifici “blow”, hotel a basso impatto ambientale, temporanei e rimovibili. Poi ci siamo concentrati sull’automobile, per creare un prodotto che fosse davvero innovativo e che rispondesse a una delle esigenze principali del mercato, cioè quella di ridurre il peso dell’auto (e di conseguenza i consumi) e soprattutto di ridurre i costi di produzione. Infatti per costruire le carrozzerie vengono utilizzate presse che lavorano a cicli piuttosto complessi, con un costo energetico notevole. Eliminando la lamiera nella carrozzeria, il gioco è fatto». E la caratteristica principale della Blowcar è proprio il suo “vestito”, ovvero la carrozzeria: «Il telaio è in metallo, quindi tradizionale. Ciò che è nuovo è il rivestimento esterno, costituito appunto da pannelli sui quali viene applicata la gomma speciale che, una volta gonfiata, rende l’auto simile a un grande airbag stabile. Questa soluzione, oltre ad alleggerire l’auto (che pesa circa 350 kg contro i 700 di una Smart) ha un impatto positivo anche sul fronte della sicurezza, perché in caso di incidente ammortizza meglio che una lamiera. E considerando che il target delle microcar è prevalentemente giovanile è un vantaggio non da poco». Inoltre, spiega ancora Di Camillo, l’auto è completamente personalizzabile: «Sulla carrozzeria esistono delle interfacce di fissaggio che rendono i pannelli facilmente smontabili –e quindi sostituibili– da chiunque, andando a risparmiare notevolmente anche sui costi di manodopera e su quelli dell’assicurazione. E poi la gomma è totalmente riciclabile, quindi è una macchina che rispetta le tendenze del mercato ecosostenibile. Insomma, questa Blowcar è ecologica, economica e innovativa, e può davvero essere il primo passo verso una nuova era della mobilità in una direzione di sostenibilità mai raggiunta finora». E la carta vincente della Blowcar è proprio la sostenibilità, nelle due direzioni: quella della produzione e quella del mercato. «La differenza rispetto alle altre autovetture del genere è che la Blowcar si configura come un’effettiva seconda macchina. Si inserisce nel segmento minicar ma ha un’abitabilità pari alle sue concorrenti di segmento A; il quadriciclo pesante, destinato a un pubblico dai 16 anni in su, è omologato per 4 posti mentre il quadriciclo leggero, per ragazzi da 14 a 16 anni, è biposto, ma può essere guidata comodamente da chiunque: per il 14enne c’è bisogno del patentino, per il 16enne della patente A. Le sue caratteristiche di sicurezza e i bassi costi di manutenzione, il design accattivante e la possibilità di “cambiare abito” la rendono appetibile da quella larga fascia della popolazione che non può permettersi un’auto di categoria superiore ma che non vuole rinunciare ad un prodotto che abbini qualità e stile. È un prodotto destinato a evolversi, certamente, ma anche a durare nel tempo, perché segue la “logica dello Swatch”: emozionare a basso costo. Quando progettiamo un’auto non è mai frutto di intuizione, di genialità, ma di studio e di preparazione. Non è un’opera d’arte, anzi va accuratamente pensata, perché si tratta di un prodotto industriale, che deve quindi inserirsi in un mercato e deve essere possibile produrla con dei vantaggi ». Vantaggi immediatamente colti dal bacino imprenditoriale abruzzese, che ha, per così dire, sottratto la produzione della Blowcar a quello laziale.
La storia è semplice e Di Camillo la racconta così: «La Concept Inn ha sede a Moncalieri e a Roma, dove il progetto della Blowcar aveva riscontrato un discreto entusiasmo sia dal Ministero dell’Industria che da una larga rappresentanza di industriali laziali. Poi il caso mi ha portato di nuovo in Abruzzo, a Collecorvino, dove sono nato e dove ho deciso di far crescere mia figlia, per garantirle una qualità della vita che la stressante Roma non è in grado di offrire. Ho parlato del progetto con il mio amico Donato Di Marcoberardino, ex sindaco di Penne, e lui mi ha aperto la strada in Confindustria, dove ho incontrato l’entusiasmo di Luigi Di Giosaffatte. È stato lui a cominciare a stabilire una serie di relazioni industriali nel tessuto imprenditoriale abruzzese coinvolgendo Fioravante Allegrino. A loro si è aggiunto poi il Presidente della Fondazione Pescarabruzzo, Nicola Mattoscio, una persona che sa vedere lontano». «Ho letto un articolo che riguardava questo progetto –spiega Mattoscio– e ne ho subito compreso le potenzialità. È del resto nella mission della Fondazione il sostegno allo sviluppo del territorio e della ricerca applicata, e ho immediatamente stabilito un canale di comunicazione con Di Camillo per lavorare insieme alla realizzazione della sua idea». Prosegue Di Camillo: «Con Mattoscio iniziammo a parlarne a dicembre dell’anno scorso, e successivamente ne parlai con un mio carissimo amico, Sergio Pino della Proma Spa, grande azienda dell’automotive, che si è unito al progetto. Il 21 giugno abbiamo costituito la società Blowcar e abbiamo realizzato il prototipo in due mesi e mezzo –un tempo record– per presentarlo al Motorshow. Anche in questa fase ci sono venute in soccorso le maestranze abruzzesi: il telaio è stato realizzato da un fabbro di Cappelle sul Tavo, Germano Valloreo; in un capannone che abbiamo affittato a Moscufo vi sono state montate le meccaniche grazie a un altro bravissimo artigiano, Gabriele Paoletti, che ha una rivendita di trattori e ha sempre lavorato nel mondo delle microcar. Poi per montare le parti esterne avevo bisogno di maestranze specializzate, così ho preso tutto e l’ho portato su a Torino in uno stabilimento dove costruivano Lamborghini, Rolls Royce… e in dieci giorni era tutto pronto. Abbiamo finito di lavorare il 30 mattina alle 7; alle 12 eravamo a Bologna, alle 14,30 aspettavamo la Rai per l’intervista». E al Motorshow, finalmente, il successo. «È stato un momento di verifica molto importante che ci ha confermato che eravamo sulla strada giusta. Avevamo proprio a fianco lo stand della Smart, e tantissima gente veniva da noi chiedendoci di poter acquistare una Blowcar. È stata dura dover dire loro che dovranno attendere la fine del 2012 per vederle nelle concessionarie».