Comunque, non è l’unica tecnica che lei abbia sperimentata…
«Posso dire di averle provate quasi tutte, e quasi tutti i materiali: tempera, olio, acrilico, resina, stucco, cartone, compensato. Materiali che hanno accompagnato l‘evoluzione del mio linguaggio artistico».
Lei ha cominciato con uno stile classico, figurativo...
«È vero. Ma poi sono passato ad uno stile diverso, minimale, astratto, basato sulla scomposizione della figura o sulla sua riproposizione ironica, astratta, decontestualizzata, con una presenza forte, centrale del colore, pur se spesso monocromo».
Chi l’ha influenzata in questo cambio di linguaggio?
«Gerhard Richter, artista tedesco oggi ottantenne. Il suo uso delicato eppure “eversivo” del colore mi ha profondamente colpito e influenzato. L’acquerello è rimasta la mia tecnica preferita anche perché mi consente più di altre quella “eversiva delicatezza” che ho ammirato in Richter.».
Per tutti i 365 giorni dell’anno 2000 lei, ad ogni suo risveglio, ha fotografato la stessa scena e poi ha riportato il contenuto delle foto nei suoi acquerelli. Insomma, lei ha fotografato e poi dipinto lo scorrere del tempo…
«L’intenzione era quella».
Descriva quella scena.
«Dalla cucina di casa mia si vede l’intero panorama a sud di Chieti, tra la Maiella e l’Adriatico: l’ultimo scorcio urbano della città, le colline prospicienti, la montagna, il mare… La prima inquadratura includeva solo il panorama, cioè l’esterno, ma la cosa mi sembrava banale. Così ho arretrato il punto di vista ed ho inquadrato, insieme, parte della cucina e parte del panorama, in un gioco interno-esterno, cultura-natura, che mi è subito piaciuto e che non ho più cambiato dal primo gennaio del 2000 fino alla fine di quell’anno».
Si è ispirato a qualche precedente?
«Sì, al film “Empire” che Andy Warhol realizzò nel 1962 riprendendo per 24 ore di seguito l’Empire State Building di New York con un’unica inquadratura dal basso».
Lei ha esposto in molte gallerie importanti: a Roma, Bologna, Milano, Ascoli Piceno, Trevi, Macerata, L’Aquila, oltre che a Chieti e a Pescara, naturalmente. Qual è stata la mostra più importante per lei, per la sua crescita artistica?
«Ne voglio ricordare tre. La prima, nel 1986, all’Ex Manifattura Tabacchi di Città Sant’Angelo, perché mi ha fatto conoscere uno splendido spazio espositivo e, soprattutto, il suo direttore, Enzo De Leonibus, un artista ed operatore culturale di grandissimo valore e merito…».
Tra l’altro, fra poco più di un mese all’Ex Manifattura Tabacchi lei esporrà molti dei suoi acquerelli tratti dalle foto del 2000…
«Sì, sarò ospitato in una mostra sul tema del tempo denominata “Mira”, cioè “guarda” in spagnolo. Saranno esposti i miei acquerelli inediti e le foto di Antonio Lucifero, noto artista abruzzese».
Diceva delle mostre importanti della sua vita…
«Sì. La seconda si tenne, sempre nell’86, presso la Galleria Manzo di Pescara. In quell’occasione iniziai una lunga collaborazione con Cesare Manzo che mi consentì di conoscere artisti importanti come Pistoletto, Schifano, Cucchi, Spalletti. La terza è più recente, ancora a Città Sant’Angelo, nel 2003: la mia personale “Antologia” che ospitò i miei acquerelli sul mese di gennaio 2000. In quell’occasione ebbi l’onore di un lungo testo critico sulla mia opera di Maurizio Coccia, uno dei più noti ed importanti critici d’arte italiani».
Rileggiamo, allora, un brano particolarmente significativo di quello scritto di Coccia, un passaggio in cui il critico parla dei suoi acquerelli: “L’arte non è in grado di offrire una realtà certa, però riesce a dare una forma alla precarietà del mondo. Per colmo di provocazione, Moscadello sceglierà il mezzo più diafano per dare consistenza strutturale al suo moto di approssimazione all’effimero: l’acquerello. All’inizio, con reticenza, sperimentando velature, corrispondenze coloristiche, frequenza e ampiezza delle pennellate. Poi, in modo più sistematico, precisando la collocazione tonale di ogni sensazione, affinando le tematiche, infine verificando la coerenza filosofica della sua riflessione, intesa come pensier-in-atto”. Che effetto le fanno, oggi, queste parole, a distanza di quasi dieci anni?
«Lo stesso di dieci anni fa».
Cioè?
«Ma Coccia sta proprio parlando di me?»