Miriam Mafai
In ricordo di Miriam Mafai, donna intelligente e bella, che ha avuto un lungo e intenso rapporto con l'Abruzzo e con Pescara, pubblichiamo il servizio uscito sul numero 57 di Vario realizzato nella casa romana della Mafai in cui la giornalista ricorda con Nevio Felicetti, suo collega nel consiglio comunale di Pescara negli anni '50, la sua esperienza politica e sociale in Abruzzo.
Varcando la porta della bella e luminosa casa con le finestre su villa Doria Pamphili, a Roma, la prima impressione è quella di entrare in una galleria: alle pareti, dipinti che si studiano sui libri di storia dell’arte; sui tavolini, in bilico, sculture che si è abituati a vedere dietro spessi cristalli; foto alle pareti dove riconosci i “Giancarlo” o i “Giovanni” che anche a citarli con il cognome non dicono niente ai giovanissimi, perchè a scuola lo studio della storia si ferma prima; e poi libri, tanti libri; e per finire lei, che con gli anni diventa anche più bella. Miriam Mafai ci ha dato appuntamento a casa sua per un’intervista a due, o meglio, una chiacchierata, con Nevio Felicetti per un amarcord sulla loro esperienza di giovani consiglieri comunali della giunta di sinistra di Vincenzo Chiola, nella Pescara del dopoguerra e della ricostruzione. Ma poi una parola tira l’altra, un ricordo richiama l’altro e i due hanno raccontato la loro storia, quella della sinistra e anche la nostra, nell’Italia degli ultimi 20-30 anni. Dovevamo fermarli? C.C.
Cara Miriam, Caro Nevio
Miriam Mafai, madre nobile del giornalismo italiano, coscienza critica della sinistra, intellettuale prestata alla politica; Nevio Felicetti, una vita da militante spesa sulle piazze e nelle aule istituzionali, foto sempre viva dell’album del Pci e della sinistra abruzzese.
Felicetti: Miriam, è stato un ritorno al passato ritrovarci in quell’aula nel vecchio palazzo comunale…
Mafai: Un amarcord emozionante, iniziato vedendo la piazza intitolata a Vincenzo Chiola…
Felicetti: Non è stato facile, te lo assicuro…
Mafai: Lo so benissimo perchè anch’io scrissi un paio di volte a sindaci di diverse maggioranze, ricordando che l’attribuzione di una piazza a Chiola non sarebbe stato una cortesia fatta a una parte politica, ma il riconoscimento della città a uno degli uomini che più si era impegnato per la sua rinascita.Poi ho salito la grande scalinata, mi sono ritrovata nella sala del consiglio comunale:mi sono sembrate, per uno di quei singolari stravolgimenti psicologici, assai più interessanti dal punto di vista architettonico, assai più belle di quanto mi era parso allora, quando ci ero entrata la prima volta,nel 1951.
Felicetti: Forse pensavamo ad altro in quel periodo, data la nostra età, gli interessi ed il momento storico a ridosso della caduta del fascismo.
Mafai: Certo fu un’esperienza formativa fondamentale. Io ero assessore all’Assistenza, e per me quella fu una prova durissima; ma anche la conferma della giustezza del mio impegno politico e sociale, dovevamo risolvere i problemi di quella gente che era disperata. E poi perchè grazie a Chiola, e a te,ho capito una cosa fondamentale: l’importanza delle scelte urbanistiche di cui, ti confesso, io non avevo il più pallido sentore.Appena usciti dalla guerra, l’idea che si debba ricostruire come che sia, è un’idea che può far presa.Pescara è stata una delle prime città ad avere un vero piano regolatore firmato da un’autorità internazionale come Luigi Piccinato. Fu una eredità dell’amministrazione Giovannucci, un segno dal punto di vista culturale:non ci accontentavamo di ricostruire tutte le casette uguali, volevamo avere un disegno più grande della città. È stato un tema fondamentale in tutt’Italia.
Felicetti: Ma Pescara ebbe rilievo nazionale anche in altre occasioni precedenti al tuo arrivo.Ricorderai l’occupazione del Comune.
Mafai: Certo. Una vicenda straordinaria, che per certi versi illuse il mondo politico, la sinistra italiana immediatamente prima delle elezioni del 1948…
Felicetti: A Pescara, nelle elezioni del ‘46, si era determinata una situazione di parità tra la sinistra e il centro-destra,per cui si arrivò a una soluzione di grande coalizione, come si direbbe oggi. Noi a questa soluzione potemmo dare con convinzione il nostro contributo, senonché la Dc non si rassegnò a vestire i panni di forza non protagonista assoluta. A un certo punto Giuseppe Spataro, grande manovratore della Dc locale e non solo, fece in modo che il ministro degli Interni, che era Mario Scelba,decidesse lo scioglimento del Consiglio comunale. Noi reagimmo, occupammo il Comune trascinando dietro di noi la città.
Mafai:Nello stesso periodo c’era stata l’occupazione della Prefettura di Milano contro la rimozione del prefetto Ettore Troilo (comandante della Brigata Maiella, ndr).
Felicetti: Scesero da Penne e Città S.Angelo gli ex partigiani.Da Bussi e da Popoli gli operai delle grandi fabbriche.Per un certo numero di giorni tenemmo il Comune occupato, fu una battaglia che coinvolse la popolazione. E poi, dalla nostra parte c’era anche il parroco di San Cetteo, il vecchio grande don Brandano. Stava fra noi, ci aiutava.Ma ci aiutò anche una grande battaglia parlamentare condotta da Bruno Corbi contro Spataro: denunciò la violenza che si era consumata nei confronti della città, e che portò il governo a indire immediatamente le elezioni. Fu un trionfo per la sinistra, sulla spinta di quel movimento di massa e ci fu la sensazione che quella vittoria locale nel febbraio del ‘48 fosse un segnale, un’anticipazione del risultato nelle elezioni politiche di aprile.
Mafai: Quando invece arrivò la sconfitta più dolorosa per la sinistra unita sotto il simbolo di Garibaldi.
Felicetti:Dolorosa e inaspettata: ci fu la grande illusione in cui cadde anche Togliatti che in vista del 18 aprile venne a fare un comizio a Pescara.
Mafai: Fu un’illusione nella quale cadde gran parte del movimento.Debbo dire onestamente che io in questa illusione non caddi, e sai perchè? Non perché fossi più sveglia, non lo ero affatto, ma perché venni mandata a fare quella campagna elettorale in Lucania, a Potenza. Puoi immaginare cosa furono quei comizi, tra l’altro per una ragazza che veniva da fuori… Ricordo un paese agghiacciante dove venni accolta e festosamente circondata da un gruppo di donne: solo che non capivo una parola di quello che mi dicevano. Ebbi un’illuminazione terribile:ma se io non capisco loro quando parlano, come fanno loro a capire me quando faccio il comizio? Di comizi ne feci anche di fronte a piazze vuote,ma i compagni dicevano “Parla parla, che le donne stanno dietro le finestre”…Quando poi ci rendemmo conto che la sconfitta era stata grave e dolorosa io fui tra i meno sorpresi.Poi non ebbi tempo né di sorprendermi né di commentare, perchè venni mandata in Abruzzo in un’altra situazione difficile, in un tempo in cui queste decisioni si prendevano rapidamente e la scelta era tra Sardegna o Abruzzo.
Felicetti: Tu arrivasti nel ‘48.Trovasti una regione in cui le sezioni di partito dopo la sconfitta erano praticamente chiuse, era difficile ritrovare i militanti e ricostruire un movimento.Poi,per fortuna, arrivò il grande dirigente comunista Paolo Bufalini, che ci indusse a buttarci “nel sociale”, come si diceva allora “nelle lotte”.
Mafai: La mia prima esperienza in Abruzzo è stata nel Fucino nelle lotte contro il principe Torlonia. Lì i partiti, anche il partito socialista, le organizzazioni sindacali, ripresero un contatto largo con gli strati più poveri della popolazione.
Felicetti: Quindi tu hai partecipato proprio alla nascita di quella straordinaria forma di lotta che poi si diffuse in tutta Italia: lo sciopero a rovescio.
Mafai: Si, ma la percezione della condizione di miseria spaventosa la ebbi venendo a Pescara: per me che venivo da una grande città come Roma la miseria nelle campagne era una cosa un po’ letteraria, in qualche modo scontata, letta sui libri di Silone e nella famosa inchiesta sul Mezzogiorno. Pescara, invece, era una città piccola, ma sempre città, e la condizione di miseria e abbandono la ricorderò sempre… La caserma Di Cocco, dove c’erano gli sfollati…
Felicetti:…Ma anche noi, e tu in particolare, certo non facevamo la bella vita…
Mafai: In realtà credo in quel periodo di avere praticamente tentato di cancellare la mia identità di intellettuale. Racconto un episodio, che Nevio forse non sa. Una volta mi ammalai, l’influenza si trasformò in polmonite. Abitavo in un appartamento in corso Umberto, molto malandato, dove l’acqua entrava pure dal soffitto.Chiamammo un medico: quando venne mi diede un’occhiata, poi mi disse cosa dovevo fare.Diede un’occhiata a mio figlio –adesso ha quasi 60 anni– e mi disse:“Guarda che questo bambino bisogna curarlo perchè rischia: è gracilino,un po’ rachitico”. Poi alzò gli occhi –io avevo un solo quadro di mio padre, un mio ritratto che ho portato sempre con me– guardò quel quadro e mi disse:“Signora, forse lei non lo sa, ma quella tela non è una crosta, vale molto.Perchè non lo vende e prende in affitto una casa più decente?”. Io gli dissi “Ne terrò conto. Però adesso devo guarire”. Ho conosciuto cos’era la miseria nelle città e nelle campagne: per questo, adesso, quando si polemizza contro il consumismo io sono sempre un po’“freddina”. Ho visto a Pescina, Ortucchio e Celano i bambini che non avevano le scarpe, non andavano a scuola e mangiavano la carne non so quando… Se oggi i bambini di quelle zone hanno tutti lo zainetto colorato sarà pure segno del comunismo imperante, beh, meglio questo che il degrado che ho visto in quegli anni…
Felicetti: Un lapsus, forse? Hai detto “del comunismo imperante”?
Mafai: Del consumismo imperante! ah, ah, ah! Con il comunismo il problema non ci sarebbe stato!
Felicetti: Gli zaini colorati non li avremmo visti. Questa battuta è registrata… e mi fa venire in mente gli enormi ritardi che poi noi abbiamo avuto a metterci in sintonia con la realtà del mondo, pur avendo praticato di fatto una forma di social-democrazia…
Mafai: Di riformismo…
Felicetti: Di riformismo effettivo. Mi pare che in questi giorni lo stesso Giorgio Napolitano vada sottolineando questo elemento di verità della nostra storia: la lentezza con cui abbiamo preso coscienza della necessità di dare sbocchi politici diversi a questa vicenda sociale che andavamo costruendo in ogni parte d’Italia.
Mafai: Io mi ricordo che una volta un mio amico,un compagno che anche tu conosci, Alfredo Reichilin, mi disse “C’è più socialismo in una cooperativa emiliana che in tutta l’Unione Sovietica”.
Felicetti: Giustissimo. Ma che conseguenze abbiamo tratto da questa constatazione?
Mafai: Questa fu la vera doppiezza nostra. Che ci ha impedito, secondo me, di assumere in tempo quel ruolo di governo al quale assolvevamo in sede locale ma che avrebbe dovuto emergere come la vera fisionomia, la vera sigla di questo partito.
Felicetti: Mi chiedo se questa doppiezza,di cui secondo me Togliatti era assai cosciente, fosse percepita dai dirigenti che gli sono succeduti. Le forze riformiste, che pure erano rilevanti dentro questo partito, non hanno avuto mai l’ardire di porre il problema del cambiamento della rotta politica. Fino al ventesimo congresso (del Partito comunista dell’Unione Sovietica, nel 1956, quando Kruscev denunciò i crimini dello stalinismo, ndr), si poteva anche pensare di non potere…
Mafai: Esplicitare fino in fondo…
Felicetti: Io ho ricordato recentemente che Giorgio Amendola, che a quel tempo era responsabile dell’organizzazione del partito comunista, fece un giro in Italia consultando i segretari regionali e di federazione per sapere se dopo il XX Congresso fosse opportuno porsi il problema della sostituzione di Togliatti. Io, come segretario della federazione di Pescara, dissi che era opportuno, anzi necessario. Credo che non abbia raccolto la stessa opinione altrove, visto che non se ne fece niente.
Mafai:Mi stai facendo una vera a propria rivelazione… continua…
Felicetti: Di qui la domanda: Amendola, che è stato il mio punto di riferimento politico e ricopriva quell’importante ruolo,probabilmente non aveva neanche lui, fino in fondo, coscienza della necessità di superare quella doppiezza in cui continuavamo ad attorcigliarci.
Mafai: Amendola arriva alla piena coscienza di questo, o per lo meno lo esplicita, subito dopo la morte di Togliatti.Quando già c’è stata la vicenda ungherese. Nel 1964 scrisse un paio di articoli su Rinascita, sostenendo l’opportunità e la possibilità del superamento della tradizionale divisione tra comunisti e socialisti.Divisione che risale alla nascita del Partito Comunista nel 1921, e di una unificazione delle forze.
Felicetti: Lo ricordo perfettamente. E quella è stata la grande occasione mancata. Ma perchè si fermò?
Mafai: Si fermo perchè non trovò nessun consenso. Giorgio Napolitano, nel suo ultimo libro, ricorda con una certa incertezza il fatto che nemmeno lui, che pure era un amendoliano di stretta osservanza, nemmeno lui ebbe … stavo per dire… il coraggio… insomma, la forza…
Felicetti: La consapevolezza diciamo…
Mafai: …La consapevolezza di sostenere la linea di Amendola, che venne immediatamente stroncata. La storia non si fa con i se, ma noi stiamo qui a chiacchierare tra vecchi amici. Se allora quella linea fosse stata assunta, seppur con prudenza, e portata avanti attraverso un dibattito vero,probabilmente la storia del nostro Paese sarebbe stata diversa. E noi avremmo avuto una forza socialdemocratica che avrebbe potuto portare avanti alcune di quelle riforme di cui sentiamo ancora oggi la mancanza.
Felicetti: Ma secondo te dopo la morte di Togliatti e la nomina scontata del vecchio Luigi Longo a segretario, se la scelta del vice segretario fosse caduta su Giorgio Napolitano piuttosto che Enrico Berlinguer, chissà se…
Mafai: A mio avviso, la storia di quel partito sarebbe stata diversa.Non si ebbe il coraggio di affrontare una terra ignota che avrebbe potuto essere quella di una diversa relazione tra comunisti e socialisti… Diciamo che il partito nel quale ho militato,ha fatto a lungo una politica di tipo riformista.
Felicetti: Non c’è dubbio…
Mafai: Perchè quello ha fatto, senza però assumersene pienamente la responsabilità e senza convincere a questa linea tutto il partito.
Felicetti: Certo, ma senza convincere la gente, che è la cosa più grave.Perchè questo elemento di ambiguità ha finito poi per determinare una serie di vicende a catena che si sono prodotte fino ad oggi, per cui ci è difficile ora proporre come leader, in occasione delle prossime elezioni,un personaggio che venga dalla nostra storia; così siamo obbligati a fare ricorso, ancora una volta, a un personaggio che viene da una storia diversa.Per carità, ci stiamo battendo tutti perchè questa soluzione si affermi,però siamo ancora prigionieri di questa mancata scelta.
Mafai: Ricordo che all’epoca - già facevo la giornalista - il termine riformista è stato considerato negativo. Ricordati,Nevio, che a un certo punto si lanciò nei confronti di Giorgio Napolitano e di altri che sostenevano le sue scelte l’insulto di “migliorista”: come se voler migliorare le cose fosse un dato negativo e non positivo.Questa cosa ce la siamo trascinata per anni e anni, ed è per questo che oggi ancora non possiamo proporre a leader di questo Paese un uomo che venga da quella storia.Mentre ne avremmo le capacità e la forza.
Felicetti: Miriam, quando ci furono le prime elezioni regionali io dovevo essere candidato a Pescara per il Consiglio regionale: bollandomi come migliorista fecero eleggere un operaio al posto del riformista, del migliorista Felicetti.Claudio Petruccioli,nella presentazione a quel volumetto che io ho dato alle stampe, lo ricorda facendo autocritica:perchè allora era ingraiano, ricordi?
Mafai: Si.
Felicetti: E dalla sponda dell’ingraismo, tutto quel che sapeva di riformismo e di migliorismo era considerato eresia.Al mio posto fu candidato Vespuccio Ballone, il compagno Ballone.
Mafai: Niente da eccepire però…
Felicetti:Un compagno bravissimo, solo che in quel ruolo non era adatto. E infatti la sua esperienza si consumò nel giro di una legislatura. Ma nei suoi confronti davvero niente…
Mafai: Beh,questo è chiarissimo…
Felicetti: …Per dire del segno dei tempi. Ma anche dell’insufficiente consapevolezza del valore del metodo democratico nella gestione del partito. Quella vicenda è un fatto minore, rispetto alla quale se ne potrebbero rileggere altre,più significative: come la tua. Si poté disporre, in una regione costretta ai margini della vita politica nazionale,di una personalità come te.Decidemmo di candidarti nel ‘94, di eleggerti deputata. Ma poi, immediatamente dopo, finì ogni voglia di valorizzare la tua presenza.
Mafai: Nevio, le strutture resistono sempre alla novità: è una legge della fisica.
Felicetti: Certo, ma fu un modo di arrendersi alla pochezza. Sentivamo la necessità di una rappresentanza abruzzese in Parlamento meno banale di quelle che si erano succedute…
Mafai:Tutte buone…
Felicetti:…Ma senza spicco, senza lucentezza. Di qui anche la marginalità della regione rispetto alla vicenda politica nazionale, che sentivamo come un problema.Per questo volevamo candidare Miriam, che un’esperienza importante l’aveva fatta in Abruzzo, ma che con la sua attività di giornalista aveva sviluppato legami importanti. Era una soluzione che aveva bisogno di essere coltivata in un rapporto dialettico tra Abruzzo e Parlamento, di andata e ritorno tra esperienze. Era quello a cui pensavamo e invece…
Mafai: Ci fu però anche una responsabilità mia. Quella fu una legislatura molto breve, una delle più brevi della Repubblica: sentii immediatamente che c’erano in Abruzzo, a Pescara, resistenze e diffidenze anche in parte legittime. Ero stata paracadutata, ero stata richiesta: non sentii il calore e la solidarietà che sarebbero stati necessari per un mio impegno più forte e più continuativo per la città.
Felicetti: Certo…
Mafai: E allora, di fronte a una situazione di questa difficoltà, mi tirai indietro.Occupandomi alla Camera più di problemi generali e di alcune battaglie femminili –si cominciava allora a parlare della legge sulla fecondazione assistita– anzichè dedicare attenzione alla situazione di Pescara e dell’Abruzzo.Quindi ci fu anche una mia responsabilità… Probabilmente avrei affrontato meglio quell’esperienza se non avessi sentito, se non ostilità, una certa “diffidenza”.
Felicetti: Miriam, io capisco quando tu dici “ci stanno anche le mie responsabilità”, ma è difficile fare l’amore se non si è in due. Ma resta la storia straordinaria del nostro partito, del nostro essere comunisti.
Mafai: È un elemento che è parte costitutiva del nostro temperamento e della storia del partito nel quale siamo cresciuti. In cui si entrava come in un convento, ma che educava al rispetto di grandi valori…
Felicetti: Che sembrano ormai allentati.Quasi che una tale deriva fosse inevitabile per farsi accettare come “moderni”. Senza passione é difficile fare politica, soprattutto fare politica alta e nobile.Che nessuno lo dimentichi ora che si è aperto, seppure un po’ confusamente, il discorso sul Partito democratico.