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Il Pescara sempre in testa

Daniele Sebastiani

Essere presidente di una squadra di calcio è un compito difficile,
ma se sei tifoso la fatica si fa più lieve.
Se poi passi in due anni dalla serie C alla A tutto diventa entusiasmante

 

Di Claudio Carella

Daniele SebastianiDue mesi di fuoco: festeggiamenti, incontri con il gotha del calcio internazionale a Parigi, a Torino, a Napoli; acquisti, cessioni, polemiche; dolorosi addii e nuovi arrivi carichi di speranza. Ora per Daniele Sebastiani, presidente della Delfino Pescara 1936 e amministratore della Interservices Leasing è il momento di godersi il meritato riposo, che per lui significa rituffarsi nel lavoro abituale. I suoi dipendenti tornano a vederlo nell’ufficio di Viale Bovio e a parlare con lui di questioni di lavoro nel suo ambiente tradizionale, familiare. Alle sue spalle una grande foto delle figlie Maria Cristina e Michela e sulla scrivania una foto della moglie Luana.

Il 20 maggio a Genova il Pescara è stata una giornata particolare per tutti i tifosi del Pescara. Come hai trascorso quella notte?

«In giro, tra Genova, la festa allo stadio a Pescara, poi la cena… sono gioie che capitano poche volte, come quando ti nasce un figlio. L’abbiamo passata tutti insieme, coi ragazzi, da Franco –un altro tifoso storico– a mangiare, ridere, scherzare. Pensavo solo che avevamo compiuto un’impresa, dopo tante difficoltà che avevamo dovuto affrontare. Siamo riusciti a infondere serenità sia ai soci che alla squadra, e questo ha fatto sì che con il grande valore dei giocatori e del tecnico si arrivasse a questo risultato».

 

Hai parlato di serenità: un elemento che consente di realizzare imprese altrimenti impossibili. Come qualche gol spettacolare.

«Di belli ce ne sono stati tanti: quello di Insigne a Bari, quelli di Immobile o il colpo di Maniero all’ultima partita. Nonostante mi si prenda spesso in giro quando dico “state sereni”, ammetto che la serenità ha aiutato molto. Società ben più attrezzate di noi hanno infatti mancato gli obiettivi prefissati. Per me al primo posto c’è la società, se quella funziona il resto viene da sé».

E con serenità hai vissuto il distacco di Zeman.

«Certo, mi è dispiaciuto, un po’ ci sono rimasto male. Nel calcio di oggi però c’è da osservare una regola: mai innamorarsi dei giocatori e degli allenatori. Purtroppo il turn-over è una necessità, e bisogna essere predisposti ad accettare che un giocatore che sta un anno con te l’anno seguente non ci sarà o magari dopo sei mesi vestirà un’altra maglia. Se capisci questo, vivi serenamente anche i distacchi più dolorosi. Per questo dico sempre che le cose più importanti per un club sono la società e i tifosi».

Quindi non definiresti quello di Zeman “tradimento”.

«Assolutamente no. Tra l’altro il mister mi aveva già confessato a gennaio, in tempi non sospetti, che sarebbe rimasto con noi, a meno che nella sua vita non fosse passato un treno che si chiama Roma. Mi ero illuso, perché un mese prima avevo parlato con Montella che mi aveva dato per quasi certo il suo ritorno nella Capitale. Poi l’accordo è saltato e la Roma, che secondo me sta muovendosi bene sul mercato ma non poteva acquistare giocatori di grande richiamo, aveva bisogno di una persona che avesse un certo appeal sui tifosi, e quindi ha forzato la mano su Zeman».

Che però deve a Pescara e alla squadra un notevole rilancio della sua immagine, che si era un po’ appannata negli ultimi anni.

«Credo che lui lo sappia, e non sono certo poche le manifestazioni di riconoscenza da parte sua nei nostri confronti. Ci sentiamo spesso, ci verrà presto a trovare, abbiamo ottimi rapporti. Sappiamo di esserci concessi delle opportunità reciproche e le abbiamo sfruttate al meglio. Ricordo bene quando tornammo da Milano, con Di Francesco –che ci lasciava– e Daniele Delli Carri. Fu proprio Eusebio a suggerire il nome di Zeman per sostituirlo, dicendo che avrebbe fatto al caso nostro. E Delli Carri si mise subito al lavoro, incontrammo Zeman a Roma. Fu una serata molto simpatica che portò all’accordo, e a quel punto dovemmo sfoltire la rosa per togliere tutti quei giocatori che non rientravano nei progetti del mister: un compito gravoso, sia psicologicamente che economicamente, in un momento di forte crisi economica. Anzi, devo dare atto a Daniele Delli Carri e a Guglielmo Acri di aver fatto un ottimo lavoro riuscendo a piazzare i vecchi giocatori in altre squadre consentendo al tecnico di lavorare su una rosa ristretta come lui ama fare. Abbiamo fatto tanti sacrifici per lui, e sono stati ripagati da una grande annata. Che va ascritta soprattutto ai giocatori che avevamo in squadra, senza nulla togliere a Zeman».

Galeone citava Allodi e la sua regola aurea: “Vinci e vattene”. Vale per gli allenatori, parzialmente per i giocatori. E a te è mai venuto in mente di uscire da vincente?

«Noi non siamo entrati per vincere, goderci un momento di gloria e andarcene. Il risultato sportivo mi interessa relativamente, quel che voglio è che Pescara possa avere la sua squadra di calcio, e voglio occuparmene. Se un giorno uscirò, voglio che accada per altre ragioni, magari problemi personali, ma non “per lasciare un bel ricordo”. Quel che voglio lasciare è una società sana che possa andare avanti anche senza di me. E magari che sia ancora in serie A. Mi interessa la continuità del Pescara».

Quindi quali sono i progetti della società?

«Ho sempre detto, e credo molto onestamente, che noi non abbiamo la possibilità di sperperare: siamo imprenditori che la mattina si alzano e vanno a lavorare, non possiamo comportarci come i grandi magnati che hanno le spalle coperte. Abbiamo fatto fatica anche a trovare le persone per poter chiudere il 100% del capitale. Quindi l’obiettivo è lavorare nella giusta direzione, scovando talenti, cercando di ottenere il massimo risultato e poi mettendoli di nuovo sul mercato, che è il corebusiness di ogni società di calcio».

Sembra una strategia molto precisa.

«Un progetto molto preciso, direi. Al di là delle malignità, certi risultati non si ottengono per caso. Passare dalla salvezza a fare due ottimi campionati di serie B facendo parlare del Pescara il mondo intero non è cosa da niente: dietro c’è un grande lavoro di tutti i reparti, del direttore sportivo, della società, dei collaboratori, del settore giovanile. Ci accusano di non avere un settore giovanile all’altezza, e io dico invece che è uno dei migliori d’Italia. Per ogni categoria abbiamo uno o due nazionali, abbiamo ottenuto risultati discreti nei campionati ma, ripeto, vincere le partite non è il nostro obiettivo primario: il settore giovanile deve lavorare in funzione della preparazione ad entrare in prima squadra».

Che effetto fa, da presidente di un club di provincia, entrare in contatto con i miti del calcio?

«Credo che i miti ce li creiamo grazie ai mass media. Da Moratti, De Laurentiis, Agnelli, Nasser Al-Khelaïfi sono in realtà persone come noi, verso le quali nutro grandissimo rispetto ma nessuna soggezione. Guardiamo all’ambiente del calcio senza alcun complesso d’inferiorità».

E dal punto di vista sportivo quali sono gli obiettivi per il prossimo campionato?

«Il nostro scopo è per adesso mantenere la categoria, in modo da conoscerne i meccanismi. Questo ci consentirà poi di lavorare più serenamente per l’anno successivo. Stiamo prendendo giovani già pronti ma anche talenti su cui lavorare in prospettiva, perché ci interessa costituire un patrimonio per la squadra. E crediamo che questa sia la strada sulla quale una società come il Pescara possa andare avanti. A meno che non si presenti l’emiro di turno, ma la possibilità mi appare piuttosto remota».

E poi c’è il legame con la tifoseria e con la storia del Pescara, come dimostra la scelta di chiamare le vecchie glorie Pagano, Dicara e Marchegiani a presentare le nuove maglie.

«A queste cose cerchiamo di porre sempre una certa attenzione; qualche volta ci riusciamo, altre meno. Non dimentichiamo che appena siamo entrati noi abbiamo preso subito nel gruppo Vincenzo Zucchini, cosa che ci ha attirato anche qualche critica. Ma cerchiamo sempre di circondarci di persone che hanno avuto un ruolo nella storia del Pescara, che hanno dato molto alla città e alla squadra. Con gli ex abbiamo ottimi rapporti, e nel futuro mi piacerebbe avere sempre più gente nel nostro progetto».

Una sola squadra non è stata modificata: quella societaria. Trasformazioni in vista?

No, la nostra squadra in questo momento è più che solida. A settembre abbiamo attraversato un momento di crisi con l’uscita di scena dell’ex presidente, ma il gruppo si è fatto carico di acquistare le sue quote ricapitalizzandole. Non nascondo comunque che ci sono altri che mi piacerebbe vedere nel gruppo: uno su tutti, Vincenzo Marinelli. Ma il nostro è un team compatto e tranquillo, che ha sposato il progetto societario e ne condivide aspirazioni, obiettivi e difficoltà».

Per Marinelli saresti disposto a fare un passo indietro e cedere il posto di presidente?

«Non c’è mai stato un problema di poltrone o di scudetti: voglio lavorare per la squadra della mia città e lo farei lo stesso. Il passo indietro lo farei per Vincenzo, che spero possa unirsi al gruppo, ma anche per tutti gli altri soci: se un giorno si decidesse che per il bene della società bisogna cambiare la figura del presidente, non esiterei a cedere il passo».

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