Logo Vario

Nei segreti del pianoforte

Angelo Fabbrini

Cosa hanno in comune Arturo Benedetti Michelangeli, Daniel
Barenboim, Alexis Weissenberg, Maurizio Pollini e Keith Jarrett?
Hanno suonato su uno strumento eccezionale:
uno Steinway & Sons di Angelo Fabbrini

di Claudio Carella

Angelo FabbriniIl rumore di una Fiat 500 sta al rombo di una Fiat 500 Abarth come il suono di un pianoforte Steinway & Sons sta all’armonia di un pianoforte Steinway & Sons di Fabbrini. Per chi non l’avesse capito la differenza la fa il preparatore. Angelo Fabbrini fa questo: prepara, accorda, personalizza i suoi pianoforti per consentire al musicista di esprimersi al meglio. Quando Angelo ha iniziato, quarant’anni fa, ereditando questo mestiere dal padre, era già bravo; poi è diventato, semplicemente, il punto di riferimento di Arturo Benedetti Michelangeli, Alexis Weissenberg, Maurizio Pollini, Lang Lang e Marta Argerich, Claudio Arrau, Andràs Schiff e molti altri. Quest’estate Angelo Fabbrini si è meritato anche un concerto, pensato appositamente per i suoi pianoforti e per la sua sala espositiva a Pescara, con le grandi vetrine affacciate sul mare: un “Divertimento in bianco e nero” scritto dal Maestro Piotr Lachert –compositore di origini polacche che vive e lavora da tempo in Abruzzo– eseguito a quattro mani dal duo Maclé, accompagnato da un’orchestra di 40 pianoforti. «È stata una bellissima esperienza, sono venuti in tanti che volevano suonare; alla fine erano circa 55 pianisti, e sarebbero stati molti di più se non avessero chiuso le iscrizioni. Forse lo spazio non era proprio perfetto, anche perché ha limitato molto la presenza di pubblico; ma ho gradito molto vedere tanti giovani di talento venuti da tutta l’Europa esibirsi in questa singolare performance». Ai giovani Fabbrini dedica la sua professionalità esattamente come ai grandi esecutori: «Sono musicisti, e meritano lo stesso identico trattamento. Anzi, spesso è proprio al giovane che va affidato lo strumento migliore, perché le loro capacità non devono essere frenate da cattivi strumenti». Keith Jarrett nel 1974 al Pescara Jazz FestivalD’altra parte era giovanissimo e semisconosciuto il Keith Jarrett che nel 1974 suonò il suo jazz in una memorabile serata del Pescara Jazz Festival proprio su un pianoforte sul quale campeggiava il logo inconfondibile del maestro Fabbrini. Quello stesso strumento che il grande pianista usò in altri concerti e che volle per la registrazione del live La Scala nel tempio milanese della musica. Angelo Fabbrini non è solo presente con il suo lavoro nelle note e nelle immagini che accompagnano i dischi più importanti del jazz e della musica classica, ma ha ispirato anche la letteratura: Roberto Cotroneo, nel suo romanzo d’esordio Presto con fuoco (Editore-anno) chiude il suo racconto su uno spartito di Chopin ritrovato da un anziano e illustre pianista con il commento del suo stretto collaboratore che ne accordava lo strumento. Pur non essendo citato, tutti gli esperti hanno riconosciuto nei due personaggi il grande maestro Arturo Benedetti Michelangeli e il suo inseparabile Angelo Fabbrini.

«Il maestro era molto esigente con tutti i suoi collaboratori, come con se stesso. Era instancabile nel provare e nel cercare ogni minima sfumatura della partitura, e a noi chiedeva di seguirlo nella sua maniacale ricerca della perfezione. Non ho mai capito come facesse a percepire infallibilmente infinitesimali variazioni del suono; le prime volte credevo si trattasse di un caso, ma mi dovetti poi ricredere perché compresi quanto grande fosse la sua sensibilità ai minimi particolari; era così sensibile all’aria condizionata perché il grado di umidità, che può oscillare dal 30 al 70% ed oltre, cambia l’insieme del peso della tastiera. Inoltre il cambiamento di umidità può far variare la reazione delle molle, ma anche l’aderenza della meccanica sul tavolaccio squinternando tutto il lavoro sin lì fatto e provocando una disuguaglianza che il Maestro non poteva assolutamente tollerare. In certi momenti avevo l’impressione che cercasse nel pianoforte il contatto della corda che si ottiene col clavicordo, tanto viscerale era il suo rapporto col suono».Angelo Fabbrini con Arturo Benedetti Michelangeli Angelo Fabbrini non parla volentieri degli esecutori con i quali ha avuto rapporti di collaborazione, e non perché non abbia aneddoti o episodi che potrebbero riempire un libro, ma per la sua naturale riservatezza e sobrietà, che lo spinge a riservarsi esclusivamente il ruolo di grande artigiano al servizio di grandi artisti. Ma come è cominciato il rapporto con la Steinway & Sons, prestigiosa casa americana che costruisce i migliori pianoforti al mondo? «Quello con la Steinway –racconta Angelo– che è un rapporto oggi consolidato da stima e amicizia, è iniziato quando ero molto giovane, e mio padre lavorava con Bechstein, la loro storica rivale. Volevo acquistare un pianoforte e mi vollero conoscere, e così incontrai il dottor Istvàn Vertès, un profondo conoscitore di musica, ma anche di lingue e culture, al quale chiesi il permesso di poter portare il pianoforte dove fossi stato chiamato. Lui, credendomi un giovane di belle speranze ma di scarse prospettive, accordò il permesso non senza una velata ironia. Ma dovettero subito mangiarsi le mani perché il mio pianoforte venne richiesto non solo in Italia, ma in Germania, in Francia, e addirittura negli Stati Uniti». Il binomio Steinway-Fabbrini è oggi indissolubile e fa della ditta la prima concessionaria ufficiale al mondo per l’acquisto di Steinway Gran Coda, record mondiale che la Casa statunitense ha voluto celebrare personalizzando il D-274, il duecentesimo Gran Coda acquistato da Angelo Fabbrini con il logo dell’artigiano e con un album fotografico che racconta la genesi del prezioso strumento passo per passo. Strumenti come gli Stradivari usati da Uto Ughi o Accardi vengono conservati in cassaforte e a temperatura controllata, ed escono solo per i grandi concerti. «Il D-274 lo conservo nel mio atelier, dal quale è uscito solo in poche grandi occasioni, ma che diversi autori sono venuti a provare appositamente qui a Pescara». Quando arrivò a Pescara tanti anni fa, il giovane Angelo aveva un sogno: metter su una fabbrica di pianoforti. Un sogno sublimato dalla “collezione Fabbrini” e rimasto chiuso in un cassetto. «Per ora, ma è ancora vivo. Quello che vorrei costruire è uno strumento completamente innovativo. Anni fa trovai anche un finanziatore, ma non mi sono sentito in grado di ripagare quella generosità con la sicurezza dell’investimento. Ma se avessi io quella possibilità finanziaria non esiterei a lanciarmi nell’impresa, fossero anche gli ultimi giorni della mia vita».

 

 

 

A proposito di noi

Vario è una rivista che da oltre venti anni racconta l'Abruzzo valorizzandone le eccellenze nei diversi settori: quello culturale, economico, ambientale, produttivo e sociale. Un taglio giornalistico moderno, sobrio ed esaustivo e un'alta qualità delle immagini ne fanno uno strumento indispensabile per conoscere meglio questa regione in crescita.
  

Come trovarci

Ultimi Articoli

Newsletter

Autorizzo il trattamento dei miei dati personali ai sensi del d.lgs. 196 del 30 giugno 2003.