Lei che ha seguito le vicende economiche della regione negli ultimi trent’anni, già vent’anni fa era tra coloro che auspicavano una fusione tra le quattro Casse di risparmio locali per dare vita ad un unico polo che avesse la forza di competere con i colossi nazionali e accompagnare la fase espansiva che la società abruzzese viveva in quegli anni.
«Si trattava di un progetto lungimirante, che poggiava sulla forza delle Casse di risparmio dell’epoca, sia in termini di raccolta che di impieghi economici, e dove la stessa Tercas svolgeva una funzione di primaria importanza. Purtroppo il progetto non trovò terreno fertile nel mondo politico regionale, ancora legato ai retaggi del campanilismo. In quest’ultimo periodo la velocità dei cambiamenti è cresciuta in modo esponenziale: già col decreto Amato le banche si sono scisse dalle Fondazioni e con l’ingresso dei privati si è ampliata la concorrenza. In più lo scenario è diverso perché sono mutate le condizioni. Prima era molto facile per il sistema bancario accordare crediti al di là della raccolta dei singoli istituti, perché si era in grado di intervenire sull’interbancario: se una banca non aveva liquidità sufficiente per fare impieghi poteva comunque fare affidamento sulle risorse provenienti dal mercato. Oggi questo rapporto si è quasi annullato, per non parlare della raccolta, drasticamente ridottasi sia per la crisi finanziaria in atto, sia per la caduta del potere d’acquisto dei consumatori. È chiaro che in quest’ottica cambiano anche i comportamenti delle singole banche: una banca che prima aveva una adeguata e crescente redditività, ottenuta dalla differenza tra costi e ricavi, oggi deve essere sempre più efficiente, sempre più pronta e capace di rapportarsi con le esigenze del mercato».
Non tutto però è naufragato: Tercas ha acquisito Caripe riportandola in Abruzzo dopo diversi passaggi di proprietà.
«Lo sforzo di Tercas è senz’altro un fatto positivo. Del resto Caripe è stato l’istituto che dalla mancata fusione delle Casse di risparmio ha pagato il prezzo più alto, finendo in mano prima alla Banca Popolare di Lodi, poi al Banco Popolare di Verona, e tornando in Abruzzo solo un anno e mezzo fa. Certo, ora gli istituti locali (che venti anni fa controllavano il 70% del mercato regionale) oggi non arrivano al 40%. Poi i cambiamenti introdotti dalla Banca d’Italia nella direzione di una maggior concorrenza hanno determinato questa situazione nuova in cui bisogna fare i conti con le economie di scala, con prodotti nuovi e con prezzi competitivi».
In questo quadro di grandi cambiamenti si cercano strade nuove. Non è ancora chiaro come bisogna unirsi e collaborare: accorpamento dei Comuni, delle Province, fino a progetti come quello della cosiddetta Marca Adriatica. Il sistema bancario ha un modello in questo senso?
«Tercas e Caripe stanno cercando di costruirlo attraverso una progettualità che per il momento parte dalla Tercas ma via via deve accogliere anche la Caripe. Cioè creare un modello di operatività che non sia squilibrato tra le due realtà ma che sia il più possibile unitario, per attenuare la crescita dei costi, creare figure professionali funzionali all’altezza della situazione e soprattutto per essere competitivi sul mercato creditizio, in modo da venire incontro ai bisogni e alle esigenze del sistema produttivo. Si parla tanto di accorpamento, che in generale non va visto solo in funzione dell’abbattimento dei costi. Penso che ciascuna realtà creditizia abbia un solo obiettivo: offrire servizi in maniera efficiente indipendentemente dalla sua dimensione. L’importante è creare una struttura competitiva, un modello operativo capace di reagire alle intemperie e alle sorprese che il mercato riserva. Tuttavia c’è una storia alle spalle, c’è il radicamento sul territorio, c’è un rapporto molto stretto con la piccola impresa, c’è una volontà di crescere: aspetti sui quali sta lavorando in maniera encomiabile il Commissario Riccardo Sora».
I territori di Teramo e Pescara possono essere le locomotive per trainare l’economia regionale nei prossimi anni?
«Sono aree dalle grandissime potenzialità che hanno caratteristiche interdipendenti: la loro economia è basata su piccole imprese endogene e non sulla presenza di grandi multinazionali. Teramo è la provincia della piccola impresa collettiva, del distretto industriale, nei settori dell’abbigliamento, della meccanica, dell’agroalimentare; e Pescara è centrale, nevralgica per ogni traffico che si possa configurare: è una città particolare, perché potrebbe essere quella che offre servizi avanzati a un tessuto industriale in cambiamento, in evoluzione che potrebbe rapportarsi proprio alle esigenze dell’industria. Un terziario quindi non isolato, ma che si connette al tessuto industriale fornendo servizi di un certo spessore, anche sotto il profilo bancario o finanziario. Un terziario non stagnante ma in grado di offrire servizi capaci di accompagnare l’evoluzione del sistema economico; accompagnare un’economia che cresce e quindi anche un’impresa che cresce, che si allontana dalla piccola dimensione con aggregazioni e alleanze strategiche per conquistare nuovi mercati e per essere più concorrenziale».
Del resto lei da tempo sostiene che “piccolo” non è più “bello”, in riferimento alle dimensioni delle imprese abruzzesi, e che il problema economico vada oltre la specificità della banca.
«Coinvolge la regione, che risente moltissimo dei cicli negativi. Tutti i dati ci dicono che nel momento in cui si verifica un andamento verso il basso la regione viene pesantemente coinvolta. Per converso, appena c’è una piccola ripresa riesce ad accodarsi: se l’Italia cresce dell’1% l’Abruzzo va all’1,5-2%. Se, viceversa, come si prevede, per il 2012 l’Italia dovesse avere un Pil negativo intorno all’1,9%, l’Abruzzo è già attorno al 2,2%. Quindi abbiamo un problema serio di come costruire il futuro economico di questa regione. E quando dico “serio” intendo che da un lato dobbiamo fare i conti con una grande impresa esogena che potrebbe (e mi auguro che non sia così) modificare alcune strategie operative, e dall’altro abbiamo una piccola impresa che è talmente piccola che non riesce ad essere protagonista sui mercati internazionali».
Quali sono i cambiamenti che pensa di apportare nella gestione della Caripe?
«Seguo le indicazioni del Commissario, secondo una strategia di gruppo, tesa al ripensamento degli attuali squilibri e all’obiettivo di risanamento prima e di rafforzamento dopo. In questo quadro la Caripe, in quanto parte integrante del Gruppo Tercas, può svolgere una funzione di non secondaria importanza. Occorre operare per ridurre la rischiosità, per aumentare la redditività e per rendere la banca più efficiente grazie al contenimento dei costi. Solo così la Caripe può innalzare l’asticella della competitività e allargare la sua presenza sul mercato del credito. Bisogna operare affinché la Caripe torni ad essere la banca di tutti i pescaresi, restituendole il senso del radicamento sul territorio».
di Claudio Carella