Sei un artista dalle molteplici sfaccettature. Una caratteristica che potremmo attribuire anche a Pescara, la tua città: capace di accogliere favorevolmente tutti gli stimoli che l’attraversano.
«L’attraversano, infatti. E di solito, come i turisti, si fermano per un po’ e poi passano oltre. Pescara non riesce a trattenere nulla se non per brevi periodi, vive tutto in modo molto passeggero. Anche dal punto di vista culturale, forse proprio perché manca di una vera identità storica, difficilmente riesce a capitalizzare le tante influenze che in un modo o nell’altro la permeano, e le lascia scorrere via. Ed è un peccato perché spesso Pescara anticipa altre province, accogliendo influenze (in genere provenienti dagli Stati Uniti, nei cui confronti noi italiani siamo molto ricettivi) che attecchiscono quel tanto che basta per aprire un negozio o due. È una città molto “modaiola”: è la sua vocazione commerciale che gli fa consumare tutto ciò che cattura».
Tu invece non sei così?
«Le influenze io le trattengo, le incamero e le metabolizzo. E poi le trasferisco necessariamente in tutte le mie espressioni artistiche, perché ormai fanno parte del mio bagaglio culturale: la street art, la cultura hip hop, le culture urbane underground. Ma sono piuttosto selettivo, non assorbo tutto come una spugna. E comunque il problema di Pescara è senz’altro un problema politico: altrimenti non si capisce perché certe cose che hanno una loro forza culturale, iniziative lodevoli come per esempio Fuori Uso, vengano cavalcate per un po’ per poi essere totalmente dimenticate».
Già, Fuori Uso. Del resto tu hai cominciato a muoverti artisticamente proprio nella galleria di Cesare Manzo.
«Era un posto in cui l’arte si viveva, gli artisti si incontravano lì e le cose nascevano anche da quegli incontri. Oggi questi spazi mancano: c’è un museo, il Colonna, che non ha molte ragioni di esistere. O l’Aurum, che è un contenitore vuoto. Intendiamoci, non parlo di queste strutture come di luoghi “brutti”, ma come spazi funzionali alla crescita artistica sono pressoché inutili. Oggi vedo molta più dispersione, ognuno lavora per sé e se vuol fare qualcosa deve attrezzarsi da solo. Un luogo che invece mantiene la caratteristica di “cenacolo” è il Museo Laboratorio di Città Sant’Angelo. Mi piacerebbe avere dei punti di riferimento dove le cose artistiche possono prendere forma, uno spazio attivo in cui si lavora e si producono eventi».
Ma questa dispersione non è frutto anche della contaminazione di cui vive oggi l’arte contemporanea?
«Temo che sia il contrario. È proprio per la mancanza di luoghi deputati che l’arte si è spostata fuori dagli spazi convenzionali. Ma il risultato è appunto quello di una dispersione di energie, di risorse, che spesso sono finalizzate alla realizzazione di una singola opera/mostra che resta purtroppo relegata a un momento e a un luogo precisi».