Detto, fatto: Ivano torna in Italia a maggio 2010 carico di entusiasmo, si reca col fratello dal grande Masciarelli e acquistano un tandem che appena 24 ore dopo è già in pista sulle strade di Piacenza, dove si svolge la Paracycling Cup, prestigiosa competizione europea. Risultato (inaspettato): medaglia d’argento per i fratelli lancianesi, appena dietro la coppia di spagnoli vicecampioni del mondo, e qualche posizione prima del team nazionale italiano. «Abbiamo gareggiato indossando una maglia dai colori simili a quelli della Germania, e anche a causa della nostra statura ci hanno scambiato per tedeschi. L’equivoco si è subito chiarito, ma il soprannome ci è rimasto. E in quell’occasione abbiamo conosciuto il CT della nazionale italiana, col quale siamo ovviamente rimasti in contatto». La vittoria di Piacenza alimenta le speranze dei due atleti che decidono di tentare un’altra sfida: il Mondiale a Baie-Comeau, in Canada, ad agosto. Il tempo è poco, ci sono solo quattro mesi per allenarsi. Ma la tenacia di Luca e Ivano ha la meglio: salgono sul gradino più alto del podio, con l’oro al collo conquistato nella gara su strada. «Noi siamo nati a Toronto da genitori italiani, quindi era un po’ come giocare in casa. Abbiamo vinto davanti a un pubblico caldissimo, è stata una gioia immensa». E questo gli dà ulteriore fiducia: il traguardo successivo è il Mondiale del 2011 a Roskilde, in Danimarca. E ora hanno anche tutto il tempo di allenarsi. Macinano chilometri per un anno intero, e bissano il successo dell’anno precedente, conquistando nuovamente l’oro, stavolta nella cronometro. E poiché i Mondiali si tengono ogni anno tranne nell’anno Olimpico, l’obiettivo per il 2012 dei due fratelli Pizzi è Londra. «Per prepararmi alle Olimpiadi mi sono preso sei mesi di aspettativa dal lavoro –racconta Luca– perché sarebbe stato impensabile prepararsi a un evento simile correndo solo tre o quattro ore al giorno, magari sei la domenica, e lavorare contemporaneamente. Quando correvo come dilettante facevo circa 12mila chilometri l’anno, ora sono passato a 25mila. Ivano invece ha una pensione che gli consente di non dover lavorare, quindi ha potuto allenarsi con tranquillità e con costanza». Già, perché grazie a quel po’ di vista che gli rimane, Ivano può allenarsi da solo. «È la metodologia migliore –spiega Luca– per ottenere risultati. Nel tandem il trucco è di allenarsi singolarmente e poi mettersi insieme: si lavora meglio, si fa più fatica. Tutti i team più forti adottano questo metodo». L’esperienza di Londra, racconta ancora Luca, è stata «qualcosa di veramente entusiasmante, è stata una grande fortuna per noi vivere in quel contesto. Ogni gara era seguita da folle incredibili, 15-20mila persone, numeri impressionanti. È stata una grande soddisfazione, anche perché per arrivarci il cammino è stato estenuante, c’è una selezione durissima: abbiamo ogni volta dovuto dimostrare di essere i migliori, perché è uno solo l’equipaggio ammesso alla competizione. Quindi abbiamo partecipato a tutte le maggiori gare internazionali, dagli Stati Uniti all’Australia, per poterci qualificare. E quando finalmente nel 2011 è uscita la graduatoria eravamo primi». Il resto è storia recente: si sono da poco spenti i riflettori sulle Paralimpiadi ma la luce delle medaglie sul petto dei fratelli Pizzi brilla ancora nei nostri occhi. «Dalle Paralimpiadi di Londra l’Italia è uscita con 28 medaglie, esattamente come dalle Olimpiadi, ma con un oro in più –racconta Luca–. E pensare che gli atleti paralimpici erano solo 98, contro i 300 non paralimpici. Luca Pancalli, presidente del Comitato paralimpico italiano, mi ha detto che in realtà c’è un’altra medaglia, costituita dalle migliaia di e-mail giunte da tutta Italia al Comitato, da parte di persone con disabilità che chiedono come possono avviarsi a una carriera sportiva. È il risultato più bello di questa edizione, perché finalmente in tanti cominciano a capire che c’è la possibilità di vivere la propria disabilità in un modo diverso: non come un ostacolo ma come un’opportunità, grazie allo sport». Cosa c’è nel futuro dei fratelli Pizzi? «Per adesso, qualche mese di riposo (ride, ndr). Poi penseremo ai prossimi Mondiali, e vedremo che succederà. Quella di Londra era per noi un’occasione forse unica: io ho 38 anni, mio fratello 34 e una situazione clinica delicata. Non so se ci riusciremo, ma se dovessimo arrivare alla prossima paralimpiade ho già deciso che mi fermerò subito dopo».
Fratelli d'oro
Ciclismo / Luca e Ivano Pizzi
Fratelli d'oro
Quella di Londra è stata un’Olimpiade da record. E per la prima volta anche le Paralimpiadi, che si tengono subito dopo, hanno avuto un seguito mai registrato prima: 166 nazioni hanno portato milioni di persone a seguire dal vivo e in televisione le gesta di 4300 atleti con differenti disabilità ma lo stesso amore per lo sport che nutrono tutti i grandi campioni. Tra questi anche i fratelli Luca e Ivano Pizzi da Lanciano, che sul loro fidato tandem hanno regalato all’Italia la nona medaglia d’oro paralimpica (nella prova su strada di categoria B) e l’ottava d’argento, vinta nella prova a cronometro. «Abbiamo mancato il primo posto per soli due secondi –è il rammarico di Luca Pizzi– ma va bene così, ci godiamo il risultato». Risultato che segue quelli dei due anni precedenti, che hanno visto i fratelli lancianesi salire per due volte sul podio dei Mondiali, vincendo l’oro nell’anno dell’esordio e replicando l’exploit nel 2011. «Il tandem –spiega Luca Pizzi– è la più antica specialità di ciclismo paralimpico, ed è anche la più prestigiosa, la più lunga, la più veloce, e la più attesa e seguita dal pubblico». Ex dilettante, Luca ha iniziato a gareggiare in tandem in Italia, accompagnando suo suocero ipovedente in competizioni amatoriali. Ma a spingerlo a intraprendere la strada che porta all’oro olimpico è stato il fratello Ivano, che a 34 anni ha individuato nel tandem il mezzo per il suo riscatto. «Ivano è sempre stato quello di noi più appassionato, sportivamente parlando, e per lui è stata dura dover rinunciare ad andare in bicicletta a causa della sua disabilità: una fortissima miopia che lo ha accompagnato fin dalla nascita, e che si è aggravata progressivamente dopo un brutto incidente di gara, a soli 18 anni, con tanto di coma e distacco della retina. I medici gli avevano imposto lo stop. Ma non ha voluto smettere, e purtroppo ha subìto altri distacchi di retina, finché non ha perso completamente la vista a un occhio e l’altro ha seguito lo stesso declino, anche se non è ancora completamente cieco. A 22 anni, dopo un lungo calvario fatto di stop forzati, interventi chirurgici e lente riprese, ha deciso suo malgrado di fermarsi e di andare a vivere in Thailandia, insieme alla sua famiglia». Ed è lì che, dieci anni dopo, il destino di Ivano bussa alla porta, sotto forma di un suo amico di Lanciano. È un corridore professionista che come tanti altri ciclisti sceglie luoghi caldi dove allenarsi durante i mesi invernali, e Ivano si offre di accompagnarlo durante gli allenamenti, lungo le strade thailandesi. «Risalendo in sella si è reso conto che tutto sommato riusciva a fare ancora parecchi chilometri e a raggiungere anche alte velocità, e il fuoco (mai completamente spento) si è riacceso. A quel punto gli ho proposto il tandem».