Ma fu lei a farsi carico delle loro istanze, ed è a lei che oggi si guarda come al fondatore del Parco Nazionale d’Abruzzo…
«Certo, ma mica potevo far tutto da solo. Anzi, la mia attenzione al problema del Parco, a ben vedere, fu distolta da due gravissimi eventi: il terremoto della Marsica del 1915, che mi vide coinvolto in prima persona tanto in veste di soccorritore (per ben ventidue giorni mi prodigai per scavare tra le macerie, organizzare squadre di soccorso e portare aiuti alle famiglie) quanto in quella di parlamentare, esprimendo aspro dissenso sui ritardi da parte delle istituzioni nelle operazioni di soccorso e sulla gestione delle prime ore dell’emergenza. La cosa mi attirò non poche antipatie, ma alla fine venni anche premiato per il lavoro svolto. Sa che fui insignito della Medaglia d’oro al valor civile?»
Certo, e so che per il suo contributo durante i giorni del sisma ricevette anche la medaglia d’argento dalla Società degli Architetti e quella d’oro dal Cai e dalla Associazione Abruzzese-molisana. E so che la sua attività parlamentare divenne intensissima nei mesi seguenti: i suoi interventi erano tutti tesi a ripristinare le minime condizioni di civiltà nelle zone terremotate. E il secondo evento grave?
«Che domanda! La guerra, amico mio! Pochi mesi dopo il sisma il conflitto mondiale dilagò e l’Italia entrò nell’agone bellico. Io venni richiamato alle armi come tenente di dirigibile, chiesi ripetutamente di essere mandato al fronte ma mi furono opposti costantemente rifiuti, a causa del mio incarico di parlamentare. Solo nel 1919, terminate le ostilità, ripresi in mano la questione del Parco, sollecitando l’allora ministro dell’Agricoltura, On. Riccio, a “rendere un fatto compiuto il Parco Nazionale in Abruzzo, che mira alla salvaguardia della flora mirabile delle nostre montagne”. Sono le parole con cui conclusi il discorso alla Camera del 1 marzo di quell’anno».
Una mano gliela diede anche suo cugino Benedetto Croce, da lei coinvolto in quanto nativo di Pescasseroli. Sa che “inventò” la figura del testimonial?
«Testimone di cosa, scusi?»
Non “testimone”, ma “testimonial”. È un termine oggi molto in voga, che indica un personaggio più o meno noto che offre il suo volto, la sua immagine mediatica per così dire, per veicolare un prodotto o un’idea o un’iniziativa. Croce era napoletano ma nato a Pescasseroli, lei ne sfruttò la fama e l’autorevolezza per promuovere il territorio abruzzese.
«Il suo linguaggio mi è a volte oscuro, ma essenzialmente credo di aver compreso il concetto. Le cose stanno così: Benedetto, che era incidentalmente nato a Pescasseroli a seguito dello sfollamento della sua famiglia da Napoli per l’epidemia di colera del 1866, nel 1910 venne a visitare, dietro la mia insistenza e con qualche riluttanza, per la prima volta il borgo natìo, e in quell’occasione (era già un bel pezzo da novanta) fu così trionfalmente accolto dai compaesani che tenne un discorso traboccante di affetto e di smagliante intelligenza dal balcone del nostro palazzo; due anni dopo, nel settembre del 1912, lo invitai all’inaugurazione del servizio automobilistico Pescina-Alfedena, ed egli tornò senza alcun indugio: stavolta in veste ufficiale, col titolo di Senatore e forte della sua caratura di intellettuale all’apice della carriera, onorando la cerimonia della presenza di un figlio di quella valle così famoso nel mondo. E per questo gli suggerii a più riprese, incontrando il suo favore, di scrivere una monografia su Pescasseroli, che servisse a far conoscere a tutti le bellezze di quel luogo che egli –come aveva detto nel discorso– prevedeva che sarebbe diventato “familiare a tutti” al pari delle principali mete turistiche svizzere, perché vi sarebbero convenuti villeggianti ed escursionisti “e da Roma e da Napoli e da ogni parte”. La monografia fu preceduta dal disegno di legge che Benedetto presentò nel 1920, quando era Ministro della Pubblica Istruzione, quello sulla “Tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse”, poi confluito integralmente nella legge 778 dell’11 giugno 1922, che proiettò l’Italia all’avanguardia europea in fatto di tutela naturalistica e fornì la base giuridica per l’istituzione delle prime aree protette nazionali».
Ma anche durante gli anni della guerra gli studiosi non rimasero con le mani in mano: fu anzi Pirotta a condurre una capillare opera di sensibilizzazione in materia, soprattutto con gli enti locali, opera cui però i Governi dell’epoca restarono sostanzialmente sordi…
«E questo ci spinse a prendere in mano la cosa e a dar vita al Parco per iniziativa privata, la cui necessità già si rendeva evidente e di cui fummo i primi ad essere convinti. Io, Pirotta, Sarti, Parpagliolo, Miliani e altri –rappresentanti dell’Enit e anche del Touring, di cui tra l’altro ero console per Pescasseroli dal 1907– accantonata l’opera di raccolta della documentazione scientifica che ormai era più che sufficiente, cominciammo a reperire i fondi, a promuovere l’immagine del futuro Ente, a stipulare i contratti di affitto coi Comuni interessati e a redigere uno Statuto che dettasse le regole per la gestione dell’area protetta; i nostri sforzi culminarono nella costituzione della Condotta Forestale Marsicana il 19 novembre del ‘21, e il successivo 25 novembre, in una affollata riunione nella sede romana della Federazione Pro Montibus et Sylvis, approvammo lo Statuto e costituimmo formalmente il Parco, insediando un Direttorio provvisorio da me presieduto. Quasi un anno dopo, raccolte le quote e risolti alcuni problemi organizzativi, potemmo inaugurare ufficialmente il Parco Nazionale d’Abruzzo. Era il 9 settembre del 1922».
A quel punto mancava solo il riconoscimento statale…
«…Che giunse con il Regio Decreto dell’11 gennaio 1923. A quel punto il Direttorio Provvisorio si sciolse e venne insediata una Commissione Amministratrice, che mi designò presidente. Il 17 maggio tenni alla Camera un lungo discorso d’insediamento, chiamato appunto “Relazione del Presidente del Direttorio provvisorio dell’Ente autonomo del Parco nazionale d’Abruzzo alla Commissione amministratrice dell’Ente stesso, nominata con Regio decreto 25 marzo 1923”, meglio nota…»
…Meglio nota come “Relazione Sipari”, e attualmente considerata, assieme al libro La difesa delle bellezze naturali d’Italia di Luigi Parpagliolo, il manifesto della prima conservazione della natura in Italia. Il che la colloca tra i pionieri dei movimenti ecologisti, quelli che nei decenni a venire e soprattutto dopo gli anni Settanta, sosterranno la sua “creatura” e la difenderanno dagli attacchi degli speculatori. Ma non fu lei a promuovere e a incentivare lo sviluppo di un’industria turistica nel Parco?
«Certamente! Fu dall’inizio il mio scopo principale, profondamente intrecciato però con quello scientifico della conservazione della integrità della natura locale. Non facciamo confusione, per favore: sono sempre stato a favore dello sviluppo, del progresso, del miglioramento di quelle zone così care al mio cuore; ma giammai mi sarei permesso di veder deturpato il paesaggio e danneggiato il patrimonio naturale da grandi insediamenti industriali e tantomeno da pochi ricchi che desideravano costruire –ancorché si trattasse di strutture turistiche– ove non fosse consentito e concordato».
Ecco spiegato il motivo della sua strenua opposizione allo sfruttamento, da parte della società Carburo di Calcio, dell’area di Opi e Barrea, dove la società voleva creare due bacini artificiali sul Sangro per produrre energia idroelettrica.
«Inizialmente fui favorevole, sa? Ma chiesi (e non ottenni) garanzie che alla costituzione dei due bacini non seguisse, appunto, un peggioramento delle condizioni di vita dell’area, sia per l’aspetto faunistico che floristico e, in primis, umano. La Carburo assicurò che avrebbe condotto “esperimenti relativi alla flora per ottenere il rivestimento verde delle zone soggette a bagnasciuga”. Esperimenti! Avevamo appena costituito, come scrisse Paolo Orano su La Stirpe del giugno 1928, “una vasta zona francata dal pericolo di ulteriori manomissioni, ove paesaggio, vegetazione, sopravissute specie zoologiche già vicine a scomparire, sono salvati per sempre, in omaggio al culto del bello, degli studi, della salute morale e fisica delle nuove generazioni”, ed ora gli interessi di una Società idroelettrica dovrebbero annientare tutto ciò? Chiaro come il sole che mi opposi, e portai a favore di tale scelta una vasta documentazione sui benefici eventualmente prodotti dalla realizzazione degli invasi, che mai e poi mai avrebbero potuto compensare i danni arrecati all’habitat. Il Ministero convenne con me che i danni fossero “da temersi” e che l’opera non avrebbe dovuto esser realizzata e i permessi furono rifiutati».
Anche in quest’occasione lei fu un anticipatore: inventò quello che oggi si chiama “valutazione di impatto ambientale”. Quella vicenda però, alla fine, le costò cara: fu la causa della fine della sua carriera politica.
«Già, proprio quando stavo per essere eletto Senatore! Fu Arturo Bocciardo, l’amministratore delegato della ex Carburo, divenuta Terni, a influire negativamente su Mussolini. Il Duce inizialmente aveva ratificato la decisione del Ministero, cogliendo l’opportunità propagandistica legata alla salvaguardia di quell’istituzione “fortemente voluta dal fascismo” che, al termine di un’estenuante battaglia condotta contro gli individui “privi del sacro scrupolo della conservazione” era riuscita ad ottenere la “magnifica vittoria della bellezza e della religione, della terra”. Poi Bocciardo, nell’ottobre del ‘28, sottopose a Mussolini i documenti che testimoniavano la mia iniziale adesione alla proposta inoltrata dalla Carburo nel ‘22; malgrado l’incartamento contenesse anche la mia formale richiesta di quelle suddette garanzie, in assenza delle quali la mia opposizione sarebbe stata fermissima, il Duce scelse di appoggiare l’industriale e di estromettere il sottoscritto dalla vita politica, prima ancora di sopprimere l’Ente Parco nel 1933».
Del resto, con Mussolini e il fascismo lei non andava particolarmente d’accordo…
«Le confesso che i nostri rapporti erano di reciproca tolleranza, dovuta al fatto che –per ragioni diverse– i nostri interessi coincidevano. Come le dicevo, per il Duce l’esistenza del Parco era un’occasione di propaganda; per me era una missione sociale, ispirata dall’intento di apportare progresso e sviluppo economico al territorio, grazie alla conservazione e al miglioramento delle risorse naturali».
E questa missione sociale il Parco la conserva tuttora…
«Me lo dica lei. Io sono morto nel 1968».
Questo lo so. La stavo appunto informando di come vanno le cose oggi.
«Ah, ecco. Perché quando sono passato a miglior vita le cose non andavano mica tanto bene: il Parco, che era stato ricostituito nel 1951 e alla cui guida nel 1952 era stato nominato Francesco Saltarelli, stava fronteggiando l’incontrollato sviluppo edilizio degli anni del boom economico. Saltarelli, che secondo me era una gran brava persona, si oppose strenuamente alle lottizzazioni e fu per questo fatto fuori nel 1963, proprio come me molti anni prima. Il peggio fu che al suo licenziamento seguì un lungo commissariamento, durante il quale l’invasione del cemento nel Parco toccò livelli elevatissimi».
Non si preoccupi, quei tempi sono passati: nel 1969, un anno dopo la sua dipartita, venne nominato direttore del Parco un certo Franco Tassi, che forse lei non ebbe modo di conoscere, ma che ha legato il suo nome per trent’anni al destino del Parco. Sotto la sua amministrazione il Parco è tornato quello di un tempo, e anzi: ha ampliato i suoi confini e si è imposto come un modello di conservazione della natura associata allo sviluppo economico del territorio, non solo per l’Italia ma per l’intera Europa. E, come lei e come Saltarelli, Tassi ha infine pagato l’opposizione all’abusivismo e una rigorosa politica di difesa del territorio con il licenziamento, avvenuto nel 2002. Le farà piacere sapere che Tassi le ha sempre riconosciuto il merito di aver contribuito a creare una coscienza ambientale in Italia, sfociata nella nascita di tante associazioni ecologiste e culminata, negli anni Ottanta, con la nascita di un Partito dei Verdi.
«Verdi? Mi piace! Fossi ancora in Parlamento, li appoggerei, credo. E quanti seggi hanno, oggi?»
Nessuno.
«Come, nessuno?!»
Diciamo che all’inizio della loro attività furono visti come una valida alternativa a un sistema che mostrava il suo lato peggiore: la corruzione dilagante, l’inconcludenza politica, i giochi di potere… In quello scenario i Verdi –giovani e animati dal fervore ambientalista– ebbero un discreto successo. Poi però, una volta inseritisi anche loro nel sistema, questo li ha stritolati e oggi non sono un soggetto politico in grado di attrarre larghi consensi.
«Capisco. Come sa, io sono stato un uomo politico che ha avuto sempre a cuore il destino del suo territorio. Non mi ritengo un ecologista, ma ho difeso le risorse naturali dell’Abruzzo in ragione della consapevolezza che quelle risorse avrebbero potuto garantire alle popolazioni della Marsica e dell’Alta Val di Sangro (e in definitiva all’Abruzzo intero) uno sviluppo socioeconomico duraturo, legato inevitabilmente alla conservazione e al miglioramento di quelle stesse risorse. Ma i miei princìpi sono maturati all’interno di una posizione politica –e di potere, per dirla tutta– già raggiunta; non ho sfruttato i miei ideali per guadagnar voti, li ho invece messi al servizio di chi già mi aveva votato. Se si compie il percorso inverso è facile che il sistema corrompa gli idealisti e li conduca a disinteressarsi progressivamente delle problematiche ambientali e del “bene comune” per perseguire scopi privati e personali. È il male del sistema politico italiano, che vedo non essere cambiato molto dalla mia scomparsa. Spero in cuor mio che un giorno si torni a far politica con lo stesso spirito che ha animato me negli anni della mia gioventù».