Una bella somma, a quei tempi, per un giovane di poco più di vent’anni…
«Altro che, però già guadagnavo bene all’epoca. Comunque tirai fuori volentieri quei soldi. Per me era un sogno che si avverava…»
…o forse cominciava.
«Be’, sì. Allora, però, non potevo immaginare che il calcio avrebbe avuto un ruolo nella mia vita ancora più grande di quello che io speravo».
Eppure, Vincenzo Marinelli non esita a riconoscere che la grande passione della sua vita, il calcio, gli è stata utile anche nella sua professione.
«Perché tacerlo? Il calcio mi ha consentito di conoscere un sacco di gente importante, di diventare amico di persone che contano, gente influente, talvolta potente, ed io ne ho beneficiato».
Quanti, tra i tanti che hanno tratto vantaggio dalla frequentazione del mondo calcistico, sarebbero capaci di tanta franchezza? Lui lo è. Non solo: Marinelli non esita a raccontare un aneddoto che conferma e sottolinea la sua leale ammissione.
«Io ho conosciuto e sono diventato amico, tra i tanti, di Giampiero Boniperti, il grande attaccante ed ex presidente della Juve. Ebbene, tanti anni fa ero interessato ad acquisire la rappresentanza di una grande multinazionale dell’industria farmaceutica. Così andai a Milano per un colloquio. Mi ricevette il capo del personale. Andammo fuori a pranzo, passeggiammo, tornammo nel suo ufficio, continuammo a chiacchierare, ma di tutto si parlava fuorché di lavoro. Allora presi coraggio e dissi: “Scusi, ingegnere, io dovrei riprendere l’aereo per Pescara. Il colloquio…”. Non mi fece finire: “Ma quale colloquio, non c’è bisogno di nessun colloquio. Ieri sera mi ha telefonato Boniperti e non la finiva più di tessermi le sue lodi e convincermi che ci mettevamo in buone mani. Perciò adesso andiamo su e firmiamo il contratto”. Ecco, io queste cose non le nascondo».
1962 – 2012: cinquant’anni nel mondo del calcio, e sempre ai massimi livelli. Non so se ce ne sono altri, in Italia, a poter vantare una tale longeva e ancora vitalissima presenza.
«In questo momento non saprei dire, non mi viene in mente nessuno. Ma non m’interessano i record personali, m’interessa di aver sempre operato per il bene di Pescara, del Pescara e del calcio italiano, nella massima correttezza e al massimo delle mie capacità».
Lei è sicuramente il pescarese, anzi: l’abruzzese, più noto nel mondo del calcio locale, nazionale e internazionale…
«No, adesso c’è Verratti. Nel Paris Saint Germani ha una grandissima visibilità a livello europeo. E se lo merita perché non è solo un grandissimo talento ma è anche un ragazzo intelligente e serio».
Peccato che le società italiane, non diciamo il Pescara, ma quelle più grandi, se lo siano lasciato sfuggire…
«Cosa vuole, il nostro calcio vive un momento difficile, inutile negarlo. Anzi, io dico una cosa: mi dispiace che Verratti non sia rimasto in Italia, però la sua andata via è anche il segno che le società italiane hanno cominciato a fare seriamente i conti. Il cosiddetto fair play finanziario è una cosa seria, un passaggio obbligato per risanare tante situazioni difficili che se si fossero prolungate avrebbero creato problemi davvero molto pesanti. Tra l’altro, questa sorta di austerity del campionato italiano ha già avuto una conseguenza positiva: il lancio di tanti giovani e giovanissimi in prima squadra. E questo non può che far bene al futuro del nostro calcio».
Comunque, Verratti a parte, lei è ormai un dirigente di lungo corso della Lega Calcio, da anni team manager della nazionale italiana Under 21, è stato presidente Pescara dal 1980 al 1986, dopo esserne stato per vent’anni, dal quel lontano 1962, socio e dirigente responsabile del settore tecnico. Un curriculum straordinario…
«La ringrazio…»
… che farebbe di lei il presidente ideale della società biancazzurra.
«Ma no, Sebastiani è un ottimo presidente. Non esistono presidenti ideali».
Ma la scorsa estate si è parlato di un suo possibile rientro in società, e certo non come semplice socio.
«I tempi non erano e non sono tuttora maturi, per i miei impegni calcistici e per motivi personali»
O, forse, le difficoltà che i biancazzurri stanno incontrando nel massimo campionato l’hanno un po’ demotivato?
«Be’, questa è una piccola cattiveria. Tutta la mia storia sta lì a dimostrare che non ho mai fatto questo tipo di calcoli. Dimentica, forse, che sono stato ai vertici del Pescara, da dirigente e da presidente, per venticinque anni? E non sono mica state tutte annate trionfali per i biancazzurri. Anzi. Nei primi anni Settanta eravamo in quarta serie…».
E lei chiamò Tom Rosati che in due stagioni riportò il Pescara in serie B.
«Appunto».
E dieci anni dopo, nel campionato 1982-83, con il Pescara in serie C, lei richiamò di nuovo Rosati…
«Che ci riportò in B. Insomma, come vede, non si può di certo dire che io sono rimasto nel Pescara solo quando le cose andavano bene. Non sono il tipo che molla o che scappa davanti alle difficoltà».
Questo glielo riconoscono tutti.
«Meno male».
Ma è vero che lei voleva Ferrara come allenatore del Pescara?
«Ferrara ha tutta la mia stima, così come Stroppa. Ma che c’entro io con la scelta dell’allenatore? Io oggi sono un semplice tifoso del Pescara e la mia opinione, nel caso la esprimessi, è l’opinione di un tifoso che vuole bene alla squadra. Del resto, lo ripeto, Sebastiani ha dimostrato di saper fare benissimo il presidente e di sapersi circondare di validi collaboratori».
Senta, lo confessi: lei c’ha provato anche con Pep Guardiola…
«A fare cosa?».
A convincerlo a passare il suo anno “sabbatico” a Pescara.
«La mia casa è sempre aperta per un grande amico e un grande allenatore come Guardiola».
Non faccia finta di non capire…
«Ma insomma, secondo lei io andavo a proporre all’ex allenatore del Barcellona di allenare il Pescara?».
Sì.
«Magari gratis».
Proprio gratis no. Comunque lei c’ha provato.
«Chi lo dice?».
Qualcuno molto ben informato.
«Allora perché me lo chiede? Un giornalista deve fidarsi delle persone molto bene informate. O no?».