Il Campus è di tutti
Luciano D'Amico
Il Campus è di tutti
di Fabrizio Gentile
Lilliput, come la chiamava Luciano Russi, è viva. Parola di un altro Luciano, D’Amico, che come nuovo rettore dell’ateneo teramano ha in animo di “restare fedele all’idea di Lilliput ma di declinarla in un’ottica contemporanea”, il che si traduce in “restare piccoli ma diventare più grandi”. Sembra una contraddizione, ma non lo è: il programma del neorettore, che ha raccolto intorno alle sue idee un nutrito gruppo di colleghi giungendo al risultato plebiscitario del 16 gennaio scorso (344 voti a favore su 414, pari al 75% dei 553 aventi diritto) punta sulla crescita dell’ateneo attraverso la strada della ricerca e dell’alta formazione (“la sfida sulla quale si confronterà l’università del futuro”), e su quella dell’implementazione dei servizi del campus di Colleparco e della razionalizzazione delle strutture. Il tutto per portare Lilliput, il piccolo ateneo della piccola Teramo, a diventare un grande punto di riferimento non solo per il territorio e per la Regione, ma per la comunità scientifica internazionale. Per dovere di cronaca, va detto che D’Amico non aveva concorrenti nella corsa al rettorato: la sua è stata una campagna elettorale in solitaria, coronata da un successo comunque rotondo. Il sospetto, legittimo, è che nessuno si sia voluto accollare la responsabilità di guidare un ateneo non proprio al top della forma. «In realtà –chiarisce il neorettore– la riforma Gelmini ha abbassato l’età dell’elettorato passivo a 64 anni, per consentire i sei anni di mandato dal momento che ora si va in pensione a settanta. È peraltro vero che in questo modo si è anche messo in moto un ricambio generazionale che è diventato necessario, perché uomini validi dal punto di vista didattico, eminenti professori che pure sono stati in grado di guidare gli atenei fino a dieci anni fa, oggi avrebbero le loro belle difficoltà a comprendere le dinamiche legate al nuovo sistema e quindi a mettere in campo le scelte giuste per affrontare il futuro dell’Università. Io, per esempio, dico che il principale concorrente di Teramo non è la D’Annunzio o L’Aquila che ci “rubano” gli iscritti, ma Shanghai che tra dieci anni farà un corso in telematica». D’Amico non le manda a dire; il suo è un parlare sereno e schietto che arriva direttamente al punto della questione. «Da oltre dieci anni sentiamo ripetere –afferma D’Amico– che in Italia ci sono troppe Università e troppi laureati, ed è una colossale serie di bugie. La verità è che la formazione universitaria non è più funzionale ad un Paese che, evidentemente, ha scelto di uscire da tutti i settori chiave dell’economia, sia in campo scientifico che umanistico. Mancano le competenze e le professionalità che hanno contraddistinto l’Italia fin dai tempi preunitari, e che erano commisurate al valore del nostro patrimonio storico, artistico e intellettuale. Oggi abbiamo invece abbandonato ogni settore dell’economia, dalla chimica alla farmaceutica all’elettronica, fino anche a quelli di matrice più strettamente culturale, e ci stiamo avviando così verso un lento ma inesorabile declino. Se vogliamo competere a livello internazionale bisogna riaffermare il ruolo chiave che la formazione ha nella crescita economica del Paese. E per questo bisogna potenziare la ricerca. Un dato esemplare? In Corea del Sud il 45% della popolazione in età universitaria è iscritto all’università, in Italia il 17%. Non è un caso che se vuoi comprare un televisore di ultima generazione devi comprare un prodotto che, perlopiù, è realizzato in Corea. Bisogna invertire la tendenza, spezzare questo circolo perverso e per questo è necessario riaffermare a gran voce il ruolo chiave che la formazione universitaria riveste nella crescita economica di un Paese industrializzato». (articolo completo su Vario 81)