Missione sviluppo
Missione Sviluppo
di Fabrizio Gentile
C’era una volta il Terzo Mondo. Una definizione oggi quanto mai obsoleta, che indicava quei Paesi dove, per ragioni politiche, per continue crisi dovute a catastrofi naturali e bibliche piaghe –carestia, siccità– le condizioni di vita sono pessime, dove mancano le più basilari norme igieniche, dove il gigantismo burocratico dei governi è pari solo al disordine che regna nelle periferie. L’Africa, linea di demarcazione tra Oriente e Occidente, è oggi una terra che, a dispetto delle sue grandi risorse naturali, vive perlopiù in condizioni di povertà ed è costretta a fronteggiare una dopo l’altra grandi situazioni di emergenza derivanti dall’assenza di politiche di sviluppo. «L’Africa galleggia sul petrolio, ha immense risorse minerarie, è stata sfruttata e continua ad esserlo dai Paesi occidentali, che hanno fatto sempre più spesso della carità pelosa, elargendo aiuti per affrontare situazioni di stretta emergenza senza fornire strumenti necessari allo sviluppo. In pratica l’Occidente ha “restituito” all’Africa, sotto forma di aiuti umanitari, solo una piccola parte degli enormi vantaggi ottenuti dallo sfruttamento del suo territorio». A esprimere questa visione è Tonino Natarelli, medico abruzzese da anni impegnato nel volontariato in diversi Paesi africani. «Per fortuna oggi la parola chiave è un’altra, cioè la cooperazione internazionale allo sviluppo».
Esistono due tipi di cooperazione, spiega Aldo Di Clemente, infermiere pescarese, sessant’anni, ventidue dei quali trascorsi al seguito di missioni umanitarie in Africa. «C’è la cooperazione nell’emergenza, che consiste nel portare aiuti alle popolazioni colpite da guerre o da eventi naturali disastrosi come terremoti o epidemie; e c’è un altro tipo di cooperazione, quella allo sviluppo, che cerca di mettere le popolazioni svantaggiate in condizioni di poter crescere e migliorare la qualità della propria vita».
L’Abruzzo, in questo quadro, è tra le regioni italiane che ha ottenuto i migliori risultati nella cooperazione internazionale, grazie ad un gran numero di associazioni che operano nel settore. «E fino a poco tempo fa –prosegue Natarelli– esisteva un organismo della Regione, appositamente dedicato alla cooperazione internazionale, che aveva un budget di circa 700mila euro per finanziare i progetti; tale budget è stato attualmente tagliato a circa 60mila euro, che per una regione è praticamente zero. Resta così, a sostenere istituzionalmente la cooperazione, il Comune di Pescara, che dispone di un budget simile (istituito dalla giunta D’Alfonso e mantenuto dalla giunta Mascia), col quale finanzia progetti che, per forza di cose, sono di “piccolo cabotaggio”, pur tuttavia utili in territori dove manca tutto. Ma le associazioni devono comunque attivarsi per trovare altre fonti a cui attingere risorse».
La onlus Marco Di Martino è la più grande e la più attiva associazione abruzzese, soprattutto nell’ambito della cooperazione allo sviluppo. Fondata nel 2001 per ricordare la prematura scomparsa del giovane Marco Di Martino dal padre Giuseppe e da Tonino Natarelli e Aldo Di Clemente, l’associazione pescarese ha realizzato numerosi progetti in diversi Paesi di quello che, correttamente, viene attualmente chiamato il Sud del mondo: «Abbiamo finanziato il ripristino di una scuola in Afghanistan, siamo intervenuti finanziariamente per aiutare la popolazione irachena durante la guerra con l’invio di medicinali, abbiamo aiutato materialmente le popolazioni dello Sri Lanka colpite dallo tsunami» chiarisce il presidente dell’associazione, Giuseppe Di Martino. «Ma è in Africa, e in particolare in Angola, che la nostra attività si è concentrata negli ultimi anni, ottenendo grandi risultati grazie alla capacità di tutti i nostri collaboratori e a obiettivi precisi che ci siamo prefissati». Obiettivi che nascono dalla comprensione di quanto sia necessario, più che tamponare una falla, permettere alla nave di viaggiare da sola, ovvero di quanto sia più importante un progetto di cooperazione allo sviluppo di uno volto alla soluzione di un’emergenza. «Intervenire materialmente o raccogliere fondi in aiuto di un popolo colpito da una carestia, da un terremoto, o messo in ginocchio da una guerra –prosegue Di Martino– è senz’altro utile, ma più utile è, terminata l’emergenza, porre le basi per una rinascita, fornire a queste popolazioni gli strumenti tecnologici e conoscitivi per potersi rimettere in piedi e camminare con le proprie gambe. Questa è cooperazione allo sviluppo, e per metterla in atto si ha bisogno di una profonda conoscenza del territorio in cui si opera, di capire quali sono le esigenze della popolazione e di avere relazioni con le autorità locali. E in questo ci è stato di enorme aiuto Aldo Di Clemente con la sua esperienza». «In ventidue anni –racconta l’infermiere di Civitella Casanova– ho lavorato per circa diciassette nazioni africane, prima al seguito della Croce Rossa, poi insieme all’Ong Intersos. Nel 2002 Intersos mi ha mandato in Angola. L’anno precedente avevamo fondato l’associazione Di Martino, e così ho cominciato a coinvolgerla nei progetti che stavo seguendo. Quando Intersos ha lasciato l’Angola, io sono rimasto e ho cominciato a lavorare esclusivamente per la Di Martino, con il sostegno “a distanza” di Intersos». La grande capacità di Di Clemente di dialogare con le istituzioni locali è stata la chiave che ha permesso alla onlus pescarese di mettere radici in Angola e di costruirsi una credibilità basata sui fatti. «Abbiamo analizzato il territorio, verificato quali fossero le esigenze, incontrato le autorità delle province dove si manifestava la necessità di intervenire e le abbiamo coinvolte nella progettazione. Questo ci ha permesso innanzitutto di stringere importanti relazioni “diplomatiche”, ma soprattutto ha responsabilizzato le istituzioni angolane, che hanno attivato così meccanismi di controllo, di supervisione e in pratica di sostegno concreto ai progetti. Tra i tanti che abbiamo realizzato vale la pena citare quello curato da Giustino Parruti, nostro socio e primario del reparto malattie infettive dell’Ospedale di Pescara, progetto che ci ha permesso di ristrutturare e riabilitare un ospedale a Jamba, che serve un territorio dove insistono circa 90mila persone, e di formare –in Angola e anche in Abruzzo– il relativo personale medico e infermieristico. Un impegno che prosegue tuttora grazie alla dedizione di medici, tecnici, infermieri professionali e operatori dell’Ospedale di Pescara che si sono resi disponibili e hanno accolto con entusiasmo e simpatia i loro colleghi angolani».
Un altro progetto significativo è stato quello chiamato “Acqua motore della vita”, che prevedeva la costruzione di circa 50 pozzi in alcune zone rurali della provincia della Huila. «Quel che rende valido un progetto di cooperazione è la sua ricaduta sulla popolazione, che dev’essere il più alta possibile. Nel caso dei pozzi noi ne abbiamo costruiti 54, portando la trivella dall’Italia e formando il personale per la loro gestione. Terminato il progetto abbiamo lasciato lì la trivella, e loro ne hanno costruiti da soli un centinaio circa. Dei beneficiari abbiamo perso il conto. Stessa cosa per il progetto col quale abbiamo installato in molte zone rurali 20 cucine comunitarie, attrezzate per ospitare sessanta persone e dotate di forni per la produzione di pane. Le cucine, gestite ciascuna da otto persone (quattro famiglie) con regolare contratto di lavoro annuale fanno da mangiare a prezzi vantaggiosi per gli operai della zona, e in più il pane che viene prodotto viene destinato, in parte, ai bambini che possono così portarsi il panino a scuola: molte famiglie non mandano i figli a scuola proprio perché non sono in grado di dargli la merenda, mentre in questo modo sono incentivati a mandarceli. Come si può capire, l’azione intrapresa vuole rispondere all’esigenza primaria e contingente, quella di offrire una mensa economica ai lavoratori; ma la ricaduta è estremamente ampia e riguarda il lavoro (il personale della mensa, che ottiene un contratto e uno stipendio) il benessere (il miglioramento delle condizioni di vita delle famiglie degli operai), la crescita economica (è un’attività commerciale in tutto e per tutto, e deve funzionare e produrre reddito) e perfino l’istruzione. Senza contare il bagaglio di conoscenze che chi gestisce le cucine riceve e trasferisce ad altri dopo di loro. Il numero dei beneficiari è, praticamente, incalcolabile. Purtroppo ci sono onlus che da cinque anni mobilitano risorse anche ingenti per costruire e mantenere infrastrutture che –pur nella bontà dell’iniziativa, perché un pozzo in quelle zone può significare la differenza tra vivere e morire– hanno ricadute su cento, duecento persone, e non è un risultato sufficiente, anche per rispetto della generosità dei sostenitori». A questi risultati l’associazione è giunta dopo aver fatto, ammette Natarelli, «anche qualche errore. È inevitabile, gli errori in questo ambito si fanno. Ma l’importante è non commetterne di ulteriori. Una volta capito che questo tipo di progetti ci consentiva di non sprecare risorse e massimizzare i risultati abbiamo proseguito su quella strada». Quindi: esperienza, filosofia manageriale di livello, competenza professionale e credibilità sono le armi che la Marco Di Martino sfodera per perseguire i suoi obiettivi. Ma il vero cambio di marcia nelle attività della onlus pescarese è avvenuto pochi anni fa, quando il governatore della provincia della Huila, Isaac Dos Anjos, nel 2010 è venuto in visita ufficiale in Abruzzo e ha incontrato le autorità regionali. «In seguito all’incontro –spiega Di Clemente– il presidente del Consiglio Regionale Nazario Pagano e Dos Anjos hanno firmato un protocollo di cooperazione tra la Regione Abruzzo e la Huila, teso a favorire relazioni culturali, economiche e sociali tra i due Paesi. L’accordo, sostenuto e approvato dai rispettivi governi centrali, ci ha aperto numerose possibilità, come quella di coinvolgere nei nostri progetti le Asl, il Ministero della Salute, quello dell’Agricoltura». E, nel caso specifico dell’ultimo progetto lanciato dalla onlus, l’Istituto Zooprofilattico di Teramo, una delle eccellenze regionali nella ricerca: «Come sempre, nei nostri progetti –chiarisce il dottor Natarelli– partiamo dalla valutazione di una necessità, che in questo caso è rappresentata dall’assenza di controlli sanitari sugli animali da allevamento. I Paesi africani confinanti col sud dell’Angola, cioè Botswana, Namibia e Zambia, hanno un sistema di controllo, ma essendo i confini “aperti”, spesso i bovini angolani al pascolo li oltrepassano, con la conseguenza che ogni problema legato alla salute degli animali viene attribuito all’Angola. Per ovviare a questo inconveniente abbiamo studiato, insieme allo Zooprofilattico (che opera in circa 90 Paesi del mondo e ha già seguito progetti simili) un piano che prevede: la mappatura degli animali, tramite applicazione di un orecchino ai singoli capi di bestiame; la realizzazione di mattatoi e la formazione del personale destinato a farli funzionare; l’implementazione di una catena del freddo per lo stoccaggio dei capi macellati; e, infine, il ripristino e l’upgrade tecnologico di alcuni laboratori di analisi, esistenti ma sottoutilizzati, che oltre a svolgere i controlli sanitari sul territorio di competenza inizieranno a fare lo stesso anche con tutti quegli alimenti che l’Angola importa, e che mancando finora i controlli di rito non sono garantiti se non da chi li fornisce (e che quindi si attengono a norme variabili e spesso poco rigorose). Le conseguenze pratiche saranno prima di tutto il miglioramento delle condizioni igieniche di tutta la filiera, la soluzione al problema delle zoonosi, cioè delle malattie animali, e naturalmente la creazione di posti di lavoro. Infine si creerà la possibilità, per l’Angola, di iniziare una politica di esportazione delle carni, che godranno dei requisiti necessari per essere appetibili sul mercato estero. Il progetto avrà una ricaduta positiva anche per l’Abruzzo, perché agli aspetti formativi dell’operazione lavoreranno una sessantina di persone, senza contare che le attrezzature saranno tutte italiane e verranno acquistate dall’Angola. Il personale che dovrà gestire i macelli verrà a Teramo per la necessaria formazione, mentre otto veterinari teramani saranno presenti in Angola per la supervisione del progetto durante i prossimi due anni. Questo scambio porterà anche introiti allo Zooprofilattico che avrà così la possibilità di prolungare i contratti di alcuni giovani ricercatori per altri tre o quattro anni. Come si vede, le ricadute sono molteplici; inoltre si tratta di un progetto pilota, che se avrà successo potrà essere esteso a tutte le altre regioni del Paese. Il costo totale del progetto è di 22 milioni di dollari, di cui circa la metà verrà impiegata solo per la mappatura, ed è finanziato dal governo delle regioni interessate, che partecipano proporzionalmente al numero dei bovini presenti nel proprio territorio».