Web e vecchi merletti
The Babbionz
Web e vecchi merletti
L’imprenditoria “in rosa” si tinge di nero. E di tutti gli altri colori, nessuno escluso. Anarchiche, idealiste, a loro agio con pizzi e merletti come con jeans e maximaglie, quattro ragazze pescaresi rovesciano le convenzioni e trasformano (con profitto) l’hobby della nonna in una professione. Guadagnandosi il successo e la notorietà anche all’estero
di Fabrizio Gentile
Gli strumenti sono una Necchi, una Singer e una Vigorelli, militarmente allineate su un banco da lavoro. Alle pareti, centrini ricamati incorniciati come quadri d’autore e scritte realizzate con lana e tessuti, tra un Expedit a sedici vani pieno di stoffe e gomitoli, due specchi e un paio di stand zeppi di abiti rigorosamente handmade. Al centro della stanza un tavolo da riunioni sul quale si taglia e si cuce. I ferri del mestiere sono quelli da calza, che sanno padroneggiare ormai con la stessa abilità delle loro nonne e mamme, vere miniere di cultura della lana dalle quali hanno estratto tutte le tecniche per diventare virtuose dell’uncinetto, artiste del ricamo, maestre di cucito e sferruzzamento. Si chiamano The Babbionz, le babbione: termine che, secondo il dizionario Sabatini-Coletti, è sinonimo di “stolto”, ma che in Abruzzo (e altrove) indica –al femminile– la donna ultracinquantenne un po’ intontita dagli anni, ormai dedita solo a occupare il suo tempo su una poltrona con l’immancabile kit da sferruzzatrice in mano. Un’immagine decisamente lontana da quella di queste “bad girls” da salotto, che con una buona dose di ironia hanno scelto questo nome e hanno fatto del loro hobby un’attività imprenditoriale in progressiva crescita. Di loro ormai si è detto tutto (e di più): riviste cartacee e online, quotidiani e siti specializzati gli hanno dedicato articoli e interviste, e dopo tre anni di attività finalmente hanno raggiunto il grande pubblico anche a livello locale. Già, perché queste quattro ragazze pescaresi (Claudia Ferri, Giovanna Eliantonio, Jessica Basile e Valentina Natarelli) la fama se la sono fatta prima all’estero che in patria: potenza della rete, la loro vetrina in cui mettono in mostra le loro creazioni e se stesse. E che gli ha garantito anche l’eco mediatica, grazie a una comunicazione estremamente accattivante che intreccia, come i fili delle loro sciarpe, la tradizione con l’attualità, l’arte con l’artigianato, la moda con la funzione sociale. Ma non solo: è un modo per non disperdere il patrimonio culturale tradizionale abruzzese, che quanto all’artigianato tessile ha voce in capitolo. «Non ci limitiamo a creare vestiti e accessori –spiegano– ma trasmettiamo ad altri le nostre conoscenze, attraverso dei workshop che organizziamo periodicamente nel nostro laboratorio e negli spazi di alcuni locali del centro storico di Pescara». Workshop affollatissimi, dedicati di volta in volta all’uncinetto, al ricamo, alla pittura su stoffa, alla realizzazione di questo o quell’oggetto, e perfino all’alfabetizzazione tessile dei maschietti, «che ha avuto un inaspettato successo», raccontano, «e gli uomini apprendono più velocemente delle donne: forse perchè sono tendenzialmente più precisi, razionali, si applicano con impegno mentre le “femminucce” sono più distratte». Per quanto spicciola, un po’ di sociologia è d’obbligo, perché “babbionare” è un’arte tradizionalmente appannaggio del gentil sesso. Ma nell’operazione svecchiamento (o, per usare un termine di moda, rottamazione) del cliché “donna-taglia e cuci” rientra anche l’emancipazione del lavoro a maglia dall’ambito strettamente femminile. «Il nostro scopo è di spogliare quest’attività della patina di polvere che l’ha ammantata, rinnovarla e farla uscire dalle quattro mura in cui è tradizionalmente confinata. Vogliamo dimostrare che si può essere giovani e creative anche in un lavoro come questo e infondere tutto il nostro vissuto, la nostra cultura in oggetti che appartengono per convenzione al passato». È così che nascono i centrini che parlano, le canottiere-corsetto, le cover ricamate per l’iPhone. E ancora, le cravatte Tartan-style, i papillon all’uncinetto, le catene di lana. E perfino i cuscini di Twin Peaks e le maglie e i guanti che riproducono la cover di Unknown Pleasures dei Joy Division. Oggetti, abiti e accessori d’abbigliamento che spopolano sul web (A Little Market.com, Buru-buru.com e Etsy.com sono i portali che ospitano i negozi virtuali delle Babbionz) e che vengono richiesti dalla Francia all’Australia, dalla Norvegia alla Tunisia. E che parlano di loro, più di quanto amino farlo le stesse Babbionz, paradossalmente timide e portate a “coprirsi” con le loro creazioni, più che a scoprirsi, malgrado giochino con la loro femminilità esattamente come giocano con lane e tessuti. Abbiamo provato quindi a tracciare un loro ritratto attraverso le parole, i temi, gli oggetti che costituiscono il “mondo” Babbionz, ben consapevoli di poter offrire, su queste pagine, solo una parte della vitalità e dell’energia creativa che queste giovani vecchie babbione sono in grado di esprimere dal vivo. Vale a dire, come la differenza che passa tra ascoltare un disco e vedere un concerto di una band che ha nell’alchimia straordinaria dei suoi membri la sua forza esplosiva.