Qualcosa, dunque, sul fronte della ricostruzione si muove: il 10% dei cantieri attivi nel centro storico dell’Aquila e il 60% in periferia sono certamente una goccia nel mare, anzi nel cratere: ma è il segno che una pur debole ripartenza è avviata. L’imprenditoria, l’edilizia, reduce dal quarto Salone della Ricostruzione appena conclusosi, “guarda con fiducia al 2015”, come dicono gli organizzatori. Ma sono stati 1.445 i giorni trascorsi prima dell’apertura del primo cantiere nel centro storico dell’Aquila: quattro anni durante i quali gli aquilani si sono confrontati con il vuoto. Un vuoto fisico, quello del centro storico, e uno spirituale, quello lasciato da chi è scomparso, da ciò che si è perduto e che non tornerà. Questo vuoto, lasciando da parte le responsabilità, è ciò che oggi si cerca di riempire, di colmare. Una città, si sa, è fatta dagli edifici, ma soprattutto dai cittadini che la vivono: è determinante quindi ricostruire materialmente gli edifici, ma soprattutto ridare vita all’identità aquilana, fatta di storia, tradizione e cultura. La ricostruzione dunque viaggia a due velocità: perché le ferite inferte alla città si chiudono con le ruspe e il cemento, mentre quelle spirituali bruciano ancora oggi e non si rimarginano.