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Vice di Giorgio Napolitano

Giovanni Legnini
 
La sesta carica dello Stato. Il senatore ha costruito la sua carriera professionale e politica passo dopo passo con competenza e dedizione. Un impegno riconosciuto da tutti, inclusa la quasi totalità dei parlamentari che lo hanno scelto per il delicato incarico di Vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura

Di Lilli Mandara  Foto Claudio Carella

La toga ha la sua storia. Non la carriera, i processi, i libri di diritto, gli studi di legge o lo studio di avvocato che si affaccia su via dei Germanesi illuminato da un raggio di sole obliquo solo ora, a mezzogiorno. Non la toga, ma questa toga. Sennò non starebbe così ben stirata e in bella vista appesa su una gruccia invece che sull’appendiabiti di legno scuro, come tutte le toghe del mondo, soprattutto se messe al chiodo ormai da parecchi anni.

«Questa toga ha la sua storia», racconta Giovanni Legnini, sindaco di Roccamontepiano per undici anni, consigliere comunale a Chieti per otto anni, dieci anni parlamentare e uomo di governo e ora, da pochi giorni vice presidente del Consiglio superiore della magistratura, carica di rilievo costituzionale e tra le più prestigiose mai assegnata a un abruzzese. «Ero ragazzo e avevo appena superato l’esame da avvocato, alle prese col mio primo processo: la difesa di una sartina della Val di Sangro accusata di evasione fiscale. Finì con l’assoluzione», finì bene per lei e anche per lui, che poi di esiti così felici ne incolonnò tanti altri e molto più importanti. «Alla fine del processo la donna mi disse “grazie avvocà, ma io i soldi per pagarla non ce li ho. Se non si offende posso cucirle la toga”». Eccola qui, la toga. Compagna inseparabile di lavoro e testimone di liti e di vertenze e ora brillante portafortuna. È mattina, è mezzogiorno e Giovanni Legnini ha appena ricevuto l’omaggio della città di Chieti, la sua città. «Una cerimonia che mi ha commosso», racconta agli amici che lo salutano mentre attraversa il corso cittadino con la moglie al fianco e dietro gli uomini della scorta, ne avrebbe avuti quattro ma lui li ha ridotti a due, per poi rifugiarsi nello studio di via Germanesi.

«In questo mese la parola che ho sentito pronunciare più spesso è stata “orgoglio”, la parola che anche oggi nell’aula consiliare ho sentito risuonare più volte. L’orgoglio della mia terra e l’orgoglio che mi viene trasmesso e che accresce il mio senso di responsabilità per la carica che ricopro. Altri abruzzesi sicuramente hanno rivestito incarichi importanti in questo Paese ma penso che sia difficile rintracciare un percorso di vita simile al mio, che inizia da una condizione di umili origini e arriva qui, dove sono arrivato. Un percorso, voglio ricordarlo, sempre improntato alla gradualità e al massimo impegno, all’esigenza di lasciare il segno. L’ho fatto da sindaco di un piccolissimo comune come Roccamontepiano, il mio paese di origine dove vivono ancora i miei genitori e fratelli e dove ho una casa di campagna in cui trascorro le mie estati e tutti i fine settimana, l’ho fatto da consigliere comunale e poi da parlamentare e da uomo di governo». L’orgoglio è questo, dice Giovanni Legnini, «un modo di vivere, un modello comportamentale: ho sempre cercato di fare bene quello che stavo facendo, qualsiasi incarico ricoprissi, senza pensare mai a quello che sarebbe venuto dopo. Non ho mai strumentalizzato la carica che rivestivo per perseguire un obiettivo di carriera, ma ho sempre pensato solo e soltanto a sedimentare l’esperienza. E ho sempre lasciato col sorriso ogni luogo e ogni incarico, e solo e sempre sorrisi ho lasciato dietro di me. Per la verità qualche volta anche le lacrime, come quelle delle vecchine del mio paese quando ho smesso di fare il sindaco. Me le ricordo ancora».E sarà per questo che adesso aspetta la commemorazione che gli sta preparando il suo paesello.

Il ragazzo partito da Roccamontepiano se l’aspettava di diventare vice presidente del Csm?

«No, non me l’aspettavo. È stato tutto deciso in 48 ore. Il mio percorso al dicastero dell’economia, il lavoro in cui mi stavo impegnando e alla fine il consenso di tutto il gruppo parlamentare hanno portato a costruire questa candidatura. E la sorpresa e l’orgoglio sono stati così forti che ho detto di sì subito».

Neanche il tempo di dirlo a sua moglie?

Nessun dubbio, un incarico talmente tanto importante e prestigioso che non c’è stata alcuna esitazione. I miei familiari hanno saputo a cose fatte, come me d’altronde».

Com’è cambiata la sua vita?

«Ho la necessità di governare meglio il mio tempo, riesco persino a trascorrere alcune serate a casa con la famiglia. Prima correvo, correvo dalla mattina alla sera, e la quasi totalità del tempo libero la dedicavo alla politica attiva. Ora invece qualche volta devo fermarmi a riflettere. Il ruolo mi impone il dovere e l’esigenza di studiare di più, di girare molto l’Italia e l’Europa dove il Csm ha parte attiva nella rete dei consigli superiori delle magistrature europee».

Un incarico importante, sicuro. Con cui si acquista prestigio ma si perde potere politico. Cosa le manca di più della vita di prima?

«Se per potere politico si intende la capacità di incidere nella formazione della volontà parlamentare e di governo sì, si perde potere politico. Però il ruolo che rivesto corrisponde a uno dei poteri dello Stato, e non spetta a me qualificare l’incidenza di questo potere. È presto per dire cosa lascio oppure se mi manca la politica attiva. Lo scopriremo strada facendo». (articolo completo su Vario 85 in edicola)

 

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