Sulla collina del Pescara River
Teatro
Sulla collina del Pescara River
Dal Drammateatro di Claudio Di Scanno uno spettacolo raffinato e popolare, realista e visionario, struggente e rasserenante
Di Francesco Di Vincenzo foto Claudio Carella
Peccato. Peccato per quegli appassionati di teatro che nelle ultime tre sere di luglio e nelle prime due di agosto (e poi il 5, 6 e 7 settembre) erano altrove invece che a Popoli, nella riserva naturale delle Sorgenti del Pescara, incantevole e irripetibile scenario di Antologia, l’ultima produzione del Drammateatro di Claudio Di Scanno. Peccato per gli assenti, perché capita di rado di assistere ad un evento teatrale capace di essere, insieme, raffinato e popolare, realista e visionario, struggente e rasserenante. Capace di coinvolgere fisicamente gli spettatori, anzi: di integrarli nello spettacolo. Insomma, un bell’esempio di teatro funzionalmente e non gratuitamente diverso. Il lavoro drammaturgico e registico di Claudio Di Scanno si basa sulla Antologia di Spoon River, la celebre raccolta poetica dell’americano Edgar Lee Masters. Una pubblicazione di cent’anni fa che racconta in versi, in forma di epitaffi autobiografici, le vite dei defunti sepolti nel cimitero collinare dell’immaginaria Spoon River, nome fittizio dietro cui si celano le due cittadine dell’Illinois dove Lee Masters trascorse la giovinezza. La colloquialità del linguaggio e la normalità delle vite raccontate (una normalità declinata dal futile al tragico), hanno fatto la fortuna dell’Antologia, ma la semplicità dei versi e delle storie raccontate nascondono (talvolta, a dire il vero, ostentano) temi tutt’altro che banali, soprattutto all’epoca (Lee Masters subì anche un processo): la ribellione contro il conformismo, il disgusto per il bigottismo e la morale sessuale corrente, l’indignazione per la condizione dei più poveri, la graffiante ironia antimilitarista e anticapitalista, la difficoltà di comunicare, l’inevitabilità del destino, la stupidità della vanità umana. Il libro è oggi un piccolo classico, una delle raccolte liriche più più vendute e più lette al mondo, Italia compresa. Di Scanno ha scorciato il titolo in “Antologia”, quasi a sottrarre al titolo originale ogni limitativa indicazione di luogo per esaltare, presumo, il valore universale delle storie raccontate nei versi di Lee Masters. I personaggi che il regista inclusi nello spettacolo sono una ventina, meno di un decimo di quelli presenti nell’Antologia, una scelta obbligata per evidenti ragioni di durata dello spettacolo (che, forse, avrebbe comunque tratto giovamento da un’accorciatina). Ogni sera sono stati ammessi non più di trenta spettatori che hanno seguito lo rappresentazione percorrendo il sentiero che dal punto informativo della riserva si snoda per trecento metri, tra alberi, siepi e piccole radure, fino alle sorgenti del Pescara. Lo spettacolo inizia con una bella ed efficace invenzione drammaturgica di Di Scanno. La raccolta di Lee Masters si apre con una poesia-prologo: “La collina”, una dolente ballata scandita dall’ipnotico refrain “tutti, tutti dormono, dormono, dormono sulla collina”. Il regista ha personalizzato il prologo creando il personaggio del Custode (il bravissimo Mauro Marino) che si serve delle struggenti parole del prologo per presentare la “collina” agli spettatori. Ed è una collina reale, che si staglia a un centinaio di metri alla sinistra del percorso, quella che il Custode indica ai trenta fortunati. Mentre il Custode parla, dalla sommità della collina, spuntano d’incanto, uno ad uno, i “dormienti” vestiti di nero e di bianco, ciascuno con una lanterna in mano, che si dispongono in una fila orizzontale a fronteggiare gli spettatori giù in basso. Costoro, per godere ognuno della migliore visuale dei “dormienti” schierati sulla collina, si dispongono in una “riga per uno” parallela a quella che li fronteggia su in alto. Le due file, più o meno equivalenti per numero di componenti, costituiscono ora i due lati opposti di uno spazio scenico naturale vastissimo (un mezzo ettaro, almeno: sicuramente il più lungo “campo lungo” della storia del teatro). All’interno di questa scena così clamorosamente, spavaldamente altra, visionaria prefigurazione di un possibile, naturalistico land theatre, gli attori e gli spettatori, il sentiero e gli alberi, la collina e la luce rosacenere del crepuscolo morente, costituiscono tutti elementi performanti , che cioè fanno, tutti insieme, lo spettacolo. Un momento di grande impatto spettacolare ed emotivo, un momento di grande teatro. Non sarà l’unico. Intanto i “dormienti” sono scesi dalla collina e si sono mischiati agli spettatori. Il Custode, novello Virgilio, guida lo strano corteo nella selva oscura punteggiata dalle luci delle lanterne dei “dormienti” che smaniano e sgòmitano per raccontare la loro storia e talvolta ancora si beccano tra di loro, quasi che l’altro mondo, in fondo, non sia che un prolungamento di questo. Ma a rasserenare gli animi ci pensa la Fioraia (altro personaggio di felicissima invenzione di Di Scanno) che evoca i personaggi, li chiama, duetta con loro, li rimbrotta e smonta la consolante formula del sonno, dei dormienti: “Sono battute, ecco, battute che sì, magari in un primo momento possono anche fare effetto ma che non è vero, non è vero niente….Il sonno è tutta un’altra cosa”. La Fioraia è una Susanna Costaglione in gran forma, che costruisce con grande sapienza tecnica un personaggio di plurima identità, svagata e saggia, briosa e pungente, malinconica e sognatrice. Infine, dopo che Ollie e Robert e il giudice Somers e Pauline e Mabel, e con loro Jack il cieco hanno raccontato la loro banale e mesta o sfortunata e tragica esistenza, i “dormienti” si mescolano agli spettatori e, prendendoli sottobraccio, si rivolgono loro con suadente tono confidenziale: “Viandante, il peccato più grande di tutti i peccati è la cecità dell’anima verso le altre anime…”. Ma sono gli spettatori, ora, a reggere le lanterne che i dormienti hanno consegnato loro. Chi sono i morti, chi i vivi? È un altro momento di grande intensità emotiva e intelligenza registica: il coinvolgimento degli spettatori avviene con una naturalezza tutta interna e funzionale all’azione scenica. E posso assicurare, da spettatore coinvolto e reggitore di lanterna, che non si rimane indifferenti. Il percorso si conclude alle sorgenti del Pescara, sulla collina sovrastante, dove i dormienti tornano nel loro cimitero chiudendosi il cancello alle spalle e lasciandone fuori gli spettatori. A costoro si rivolge un’ultima volta il sornione Custode: “Amici, questo è teatro, spettacolo, penombra, un gioco di finzione per la verità della notte! Cose serie, dette tra noi che c’intendiamo.” Cose serissime.