«God bless L’Aquila». E chi se lo dimentica più Barack Obama, descamisado, passo elastico e sorriso garbato, sotto il sole affilato di luglio. In piazza Duomo, tra polvere, rovine, volontari stanchi e sudati. L’uomo più potente della terra testimone dell’esito di una guerra feroce, ingaggiata dalla natura contro l’uomo e la storia.
Inutile, oggi, ricordare chi ha vinto. «God bless L’Aquila», il saluto, l’addio: un pezzetto di speranza se ne è andato via così, con tre parole che fanno una benedizione. Per un matrimonio di convenienza finito ancor prima di nascere. L’ottimismo, qualche mese fa, chiamò «lista di nozze» un sos lanciato al mondo: quello per la ricostruzione di quarantaquattro monumenti sfigurati dal terremoto. I più belli, i più importanti, pezzi irripetibili del passato, che richiedono mani esperte e cure costose. L’operazione fu promossa attraverso mostre e pubblicazioni di qualità elevata: le immagini della passione di una città da salvare.
A parole sembrava cosa fatta: ma quando, complice il G8, i potenti sono entrati nel supermarket delle macerie e hanno guardato i cartellini del prezzo, molte mani sono tornate in tasca e ne sono uscite solo per una stretta di saluto. Oltre alle benedizioni e alle parole di circostanza, dall’operazione «grandi della terra» all’Aquila è arrivato ben poco: si sta chiudendo l’accordo con la Francia che parteciperà con tre milioni e duecentomila euro –una quota di poco inferiore al cinquanta per cento del necessario– al restauro della chiesa delle Anime Sante. La bella cupola dell’edificio, pesantemente danneggiata, porta la firma di Valadier. L’intesa tra gli stati prevede non solo una partecipazione alle spese, ma anche una collaborazione tecnica e una gara europea per l’affidamento dell’appalto. Un canovaccio che si intendeva applicare ad ogni forma di partecipazione, proprio per garantire la migliore specializzazione in restauri che si prevedono non solo complessi, ma anche costosissimi. Una prima stima, ristretta, dei fondi necessari per la ristrutturazione del patrimonio storico parla di tre miliardi e mezzo di euro, ma non comprende quei piccoli palazzi gioiello del centro, di proprietà privata ma sottoposti a vincolo, che costituiscono il cuore nascosto di una città splendida. Edifici di valore inestimabile. La solidarietà impressionante di privati e aziende ha consentito in questi mesi di tamponare le emergenze, ma la strada per la ricostruzione è ancora ben lontana dall’essere aperta, sia per il patrimonio artistico che per quello civile. Un primo bilancio effettuato a fine 2009 parla di 53 milioni di euro diretti alla Protezione Civile: 18 milioni di euro sono stati versati dai gestori di telefonia fissa e mobile e 25 milioni di euro provengono dai conti correnti attivati dal Dipartimento della Protezione Civile. Hanno contribuito a raggiungere questa cifra anche la campagna di solidarietà “Un aiuto subito” del Corriere della Sera e la trasmissione televisiva “Porta a Porta” che, da sola, ha raccolto più di 3 milioni di euro. Grande l’impegno delle Regioni italiane: la Provincia autonoma di Trento, oltre alle casette in legno donate a numerosi centri dell’Aquilano, si è impegnata per il restauro dell’Oratorio di San Filippo, ora centro stabile di Teatro Ragazzi; la Regione Veneto si prenderà cura della chiesa di San Marco, la Camera dei Deputati di Palazzetto dei Nobili. Ma il grande impegno internazionale, quello, non è mai arrivato: troppo cara, per Zapatero, la «terapia» da praticare sul Forte spagnolo: dopo la promessa e una parziale marcia indietro, il governo di Madrid è scomparso del tutto. Non è stato così per il ben più piccolo Kazakhistan, primo e finora unico stato a mantenere la linea della solidarietà: ha già versato il milione e 700mila euro promesso per il ripristino della Chiesa di San Biagio in Amiternum. Fedele anche la Germania che oltre ad aver destinato 3 milioni di euro al restauro della chiesa di San Pietro di Onna, proprio ad un’ora e un anno di distanza dalla scossa, alle 4,32 del 6 aprile, ha voluto inaugurare casa Onna. C’è anche la Russia con sette milioni di euro per Palazzo Ardinghelli e la Chiesa di San Gregorio Magno: l’impegno deve essere ancora formalizzato in un atto. Dall’Australia, invece, non si sono più avute notizie. Il Giappone, dopo qualche polemica legata alle realizzazioni infrastrutturali, ha deciso di regalare un auditorium, di cui curerà anche la progettazione per non imbarcarsi in complesse operazioni di restauro. Il resto è in mano alla professionalità, alla generosità e alle capacità degli italiani. Anche di quelli all’estero, che, contrariamente agli Stati, non hanno fatto mancare la loro solidarietà. Tra stati esteri, pubblico e privato sono dodici i monumenti della lista adottati in tutto o, più frequentemente, soltanto in parte. In più hanno “trovato famiglia” anche quattro strutture fuori elenco. Fino ad ora tra Protezione civile e Ministero dei Beni Culturali sono arrivati alla Sovrintendenza ai Beni Artistici dell’Aquila ventidue milioni di euro, già tutti impegnati e largamente insufficienti, per la semplice messa in sicurezza dei monumenti più importanti. In generale, fino a questi primi mesi dell’anno sono stati quasi 200 gli interventi realizzati dai Vigili del Fuoco, con il coordinamento del Vicecommissario per la salvaguardia dei beni culturali, sulle chiese e i palazzi storici lesionati dal terremoto per stabilizzare gli edifici e ridurre il rischio di ulteriori crolli e danneggiamenti. Le opere artistiche recuperate sono state 4600. Sono stati oltre 1700 i rilievi sull’intero patrimonio monumentale (oltre l’80%), con le verifiche dei danni su quasi 1000 chiese e oltre 600 palazzi. Complessivamente, solo il 24% degli edifici è risultato agibile. Servono altri fondi per la messa in sicurezza, che è ancora lontana dall’essere completata, e sono stati già richiesti al Commissario per la ricostruzione Gianni Chiodi. Il vice commissario della Protezione Civile per i Beni culturali dell’Aquila e dell’Abruzzo, Luciano Marchetti, fa anche qualche conto in più: «Per il recupero dei beni culturali la stima che è stata fatta dalle schedature è di 3 miliardi e mezzo di euro; per il patrimonio complessivo, credo che il Comune dell’Aquila abbia fatto una stima sull’ordine dei 10 miliardi di euro. Non sono cifre piccole, è ovvio –ha aggiunto– ma come ho detto più volte, non è che servano domani. Servono nei prossimi anni con una frequenza e con una certezza. E cioè la cosa importante non è tanto avere i soldi subito, ma avere la certezza di una continuità nel tempo dei finanziamenti per poter programmare». Marchetti è uomo d’esperienza e ha fatto una stima anche delle difficoltà. Ex direttore generale dei Beni Culturali nel Lazio, ha lavorato alla ricostruzione in occasione dei terremoti di Friuli ed Umbria, e sa che quella dell’Aquila è un’altra storia: «Un’emergenza –dice– che non si è mai affrontata». Dovevano averlo capito anche i grandi della terra, anche le loro signore, che si son fatte fotografare con lo sfondo delle rovine: invece oggi, dal conto del buon cuore e delle promesse, manca qualcosa come ottanta milioni di euro. Per il mondo, scosso da altre tragedie, L’Aquila ha lo spessore di un ricordo: il G8 ha smantellato da un pezzo e i monumenti da adottare sono lì, figli di nessuno; la città da salvare può solo raccogliere forze proprie e qualche sensibilità di uomini che non si stancano. Per il resto «God bless L’Aquila»: guardare in alto resta l’unico modo per sperare. Anche se già una volta il cielo si è capovolto senza pietà.