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Enzo De Leonibus

L’arte come vocazione: una chiamata alla quale Enzo, direttore del Museo Laboratorio Ex Manifattura tabacchi di Città S.Angelo non si è sottratto

Oasis for birds, 2005

Il nome di Enzo De Leonibus è strettamente legato a quello del Museo laboratorio di Città S.Angelo – ex manifattura tabacchi, di cui l’artista abruzzese è il direttore e che ha festeggiato proprio lo scorso febbraio i dieci anni di attività. Un luogo per l’arte e per gli artisti, dove proporre, esporre e lavorare. «Forse –spiega Enzo– è proprio perché è un posto dove “si lavora” che la cittadinanza nutre per il museo un rispetto che con gli anni si è arricchito anche di affetto».

Essere il direttore di un museo ed essere artista è un po’ come stare dai due lati di una barricata?

«All’inizio era così, oggi invece non distinguo più il confine tra le due cose. Anzi, credo che faccia completamente parte della mia vita, così come l’urgenza artistica. Non ci vedo nessuna contraddizione ».

Essere artista cosa significa?

«Significa non poter fare altro, vuol dire che ti svegli la mattina e il tuo modo di vedere le cose è quello di un artista. E significa che ti esprimi attraverso un linguaggio, dei mezzi, che possono essere ricondotti a una dimensione “artistica”. Io per l’arte ho sempre avuto un rispetto supremo, tanto che ho preso la decisione di “fare l’artista” in tarda età. Mi ritenevo troppo fragile, forse. Ma alla fine posso dire di aver risposto a una chiamata».

Ma il “sistema” dell’arte continua a chiamarti. E tu vivi ai suoi margini…

«È una scelta: amo la semplicità, vivo in campagna, conduco una vita fatta di piccolissime cose. Non mi piace l’aspetto mondano, stare sotto i riflettori, preferisco il lavoro dietro le quinte. E mi piace tantissimo il processo creativo, la realizzazione di un’opera è quasi una rottura di scatole. Mi piace quel che avviene “prima”, ed è qualcosa che può durare dei mesi».

In effetti hai una produzione abbastanza limitata.

«Quattro, cinque cose all’anno. Il che anche di necessità mi colloca un po’ fuori dal giro, non sono uno che può permettersi una personale nuova ogni due anni. Ma mi dà la possibilità di elaborare bene le cose, che è un privilegio. A volte le mie opere hanno un senso di freschezza, di immediatezza, che sembrano fatte lì sul momento; in realtà dietro c’è un ragionamento lunghissimo, e so che sono finite solo quando non c’è più niente da aggiungere o togliere».

Ma per un giovane artista quanto è importante invece stare dentro al giro?

«Almeno l’80 per cento. Naturalmente ponendo come base una qualità elevata del proprio lavoro. Voglio dire che se hai qualcosa da dire devi solo decidere cosa vuoi fare: essere il numero uno? Allora datti da fare per diventarlo. Se vuoi restare ai margini devi semplicemente guardare altrove. Lo dico anche ai miei studenti: cercate di capire in fretta cosa volete e trovate i mezzi per raggiungere i vostri obiettivi».

Sembra un discorso da “attimo fuggente”: che rapporto hai con i tuoi ragazzi?

«Gli concedo molto spazio, tendo a dare fiducia ai giovani e a farli agire secondo il loro modo di vedere le cose. Io mi chiamo fuori, a un certo punto, perché è il loro lavoro che deve interessarmi, non il mio». Hai qualche rimpianto? «No, direi di no, a parte che avrei voluto studiare di più la matematica. Ci sono opportunità che non ho avuto, rispetto alle nuove generazioni, ma ne ho avute altre che oggi non esistono. E la mia vita è piena, sono soddisfatto. Posso dire di essere felice».

La felicità è un ostacolo per un artista?

«No, perché non esclude le emozioni negative: è pienezza, nel senso che vivi tutto intensamente. Anche il dolore, attraverso il quale spesso, negli ultimi anni, sono passato. Quando dicevo che il più grande dono di mia madre è stata la sua malattia non scherzavo: vivere quell’esperienza è stato come svegliarsi da un lungo sonno, è stata una delle cose più intense della mia vita. E non finirò mai di ringraziarla, per questo».

Sfoglia lo speciale VarioART 2011 su Enzo De Leonibus

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