«Aver fatto questo lavoro attorno agli sprechi della politica non mi ha reso né orgoglioso né felice. Fa semplicemente parte del mio Dna di giornalista. Sono da sempre impegnato su questo fronte: negli anni settanta il mio primo lavoro all’Espresso fu di pubblicare le dichiarazioni dei redditi dei politici, che erano allora coperte dal segreto d’ufficio. Ho fatto sempre questo tipo di giornalismo, faticoso, fatto di fonti confidenziali e documenti riservati. Come l’inchiesta che condussi proprio sull’Espresso con Gianluigi Melega e che provocò il 15 giugno 1978 le dimissioni del Presidente della Repubblica Giovanni Leone. Fu il Watergate italiano, solo che dal lavoro dei giornalisti del Washington Post hanno tratto un film, dal nostro no. Fu una grande pagina di giornalismo». Il libro ha avuto subito un grande successo ed è stato preso come spunto per diversi talk show televisivi. «Questo libro in verità ha visto la luce su iniziativa del direttore della collana di saggistica del Fatto Quotidiano, Marco Lillo, un caro amico che mi ha spinto a pubblicarlo. Ci siamo conosciuti nel ‘99 quando lavoravamo entrambi all’Espresso diretto da Giulio Anselmi. Anche all’epoca si parlava di riforme e quindi di tagli ai costi della politica, avevamo cominciato a scavare per trovare la documentazione sui vitalizi, visto che era tutta secretata.
Gli stessi parlamentari avevano difficoltà a reperirla, nel primo capitolo racconto proprio la storia di come sono venuto in possesso di questa documentazione. Insomma, questo volume nasce da lontano, da un’inchiesta dell’Espresso sulle pensioni dei parlamentari. Non volli, all’epoca, ricavarne un libro nonostante le richieste. Perché scrivere libri sottrae tempo alla normale attività giornalistaica e poi non mi andava perché sapevo che scrivendone sarei stato accusato di qualunquismo, di gettare fango su questo o quell’altro, cosa che poi è puntualmente accaduta. Ciò che mi premeva era di mantenere il mio basso profilo che mi consentiva di aggirarmi per il Parlamento e raccogliere informazioni in modo discreto». Poi lasciò il settimanale «E cominciai a collaborare con Il Fatto Quotidiano dove ritrovai Peter Gomez, Antonio Padellaro e Lillo, con i quali ho sempre mantenuto ottimi rapporti, e proprio Marco Lillo mi ha dato la spinta per riprendere il discorso. Devo dire che ha avuto ragione». Leggendo il libro, a parte alcune sorprese eclatanti, spicca il fatto che la maggior parte di questi vitalizi sono importi di bassa entità: mille, duemila euro... «Ma infatti il problema non sono le somme, ma i meccanismi che hanno portato a quegli importi, che sono uno sfacciato favore che i parlamentari hanno fatto a se stessi in totale contrasto con ciò che chiedevano di fare agli italiani.
C’è stato chi ha avuto una pensione da parlamentare senza aver neanche mai messo piede in Parlamento. Il privilegio nasce da questo trattamento di favore». A proposito di orgoglio, cosa ha provato quando è stato chiamato alla direzione del quotidiano della sua regione? «Sento sicuramente il peso della responsabilità di dirigere un giornale dalla grande storia, fondato da maestri come Mario Lenzi, persona squisita oltre che genio dell’editoria, un pioniere che è il padre dei quotidiani locali dell’Espresso. Con lui ho fatto i miei 18 mesi di praticantato nella redazione del Tirreno di Livorno e poi a Pavia, alla Provincia Pavese, secondo quotidiano del progetto partorito da Lenzi, che ho avuto la fortuna di veder nascere da zero. Per lui il giornalismo era inscindibile dalla passione civile, e se fosse vivo sarei qui a temere il suo giudizio. Non mi posso permettere di sbagliare anche in nome di questo rapporto. E poi anche perché sono abruzzese». Perché i nuovi editori de Il Centro hanno scelto proprio lei? «Non so, forse bisognerebbe chiederlo alla proprietà. Io so che mi è stato chiesto di fare un giornale autorevole e indipendente. Autorevole non sta a me dirlo se lo è, ma indipendente è qualcosa che mi viene naturale fare. Restava da vedere se ci fossero le condizioni per poterlo fare. Così è stato, quindi ho accettato. Adesso il giudizio lo lascio ai lettori che già da qualche mese hanno imparato a conoscermi. Il Centro dev’essere un quotidiano al servizio dei cittadini e deve essere la voce dell’Abruzzo. Questa è la nostra volontà, unita a quella di coprire un vuoto di idee e di dibattito al centro del quale desidero mettere il giornale».
Come ha trovato la nostra regione? «Il mio contatto con l’Abruzzo non è mai cessato, sono sempre tornato a Castellafiume dove ho casa e dove trascorro le vacanze estive come tutti gli abruzzesi provinciali di vecchio stampo (sorride, ndr), insomma non ero estraneo alle vicende regionali. Mi sono sempre informato leggendo Il Centro, sia sul web che su carta. Anche se non mi sono mai occupato, professionalmente, della mia regione perlomeno fino al 2006 quando mi sono interessato della vicenda Sanitopoli. Ho avuto modo così di conoscere uno spaccato importante dell’Abruzzo. Adesso, in questo nuovo lavoro ho trovato gli stimoli e le difficoltà che può trovare un direttore di giornale. È una sfida, certo, e mi piacerebbe accompagnare la regione in una fase di crescita. L’Abruzzo ha bisogno di un buon giornale e questo giornale ha bisogno dell’Abruzzo». Mai come in questi ultimi due o tre anni l’immagine dell’Abruzzo è stata così sputt... pardon negativa, assimilata a personaggi non edificanti ma anche all’impreparazione a gestire eventi naturali. «Non c’è dubbio che sia una delle pagine più nere della nostra storia ed è anche il risultato dell’impreparazione dei grandi gestori di servizi che non hanno garantito l’efficienza. Di questa storia pagheremo pesanti conseguenze anche sul piano economico nei prossimi anni. Ho trovato una regione scarsamente attrezzata dal punto di vista delle infrastrutture e dei servizi. È stato un colpo terribile. Ci si domanda: ma che Abruzzo è questo? Ha ancora un’anima?». Il suo compito professionale sarà indagare questo aspetto. Ma da cittadino che impressione ha avuto? «Ugualmente negativa.
Ai miei colleghi dell’Espresso suona assurdo che io non abbia a Castellafiume una connessione decente e debba andare ad Avezzano per scaricare la posta; o che a casa mia non abbia il segnale del digitale terrestre. Perfino le linee mobili sono scadenti, e non solo nelle zone interne ma anche sulla costa. Basta percorrere la A 14, per esempio, per vedere che in alcune parti manca completamente il segnale. E non puoi puntare sul turismo come motore della regione se non hai questi servizi. È una regione che ha bisogno di stimoli forti per crescere, per poter garantire alle imprese e ai turisti di venire in Abruzzo in tranquillità. La sorpresa è stata quindi che anche nella zona più evoluta dal punto di vista economico e industriale ci sono sacche di arretratezza che impediscono la crescita. Poi certo il concentrarsi di tutte queste disgrazie, incluse quelle naturali, ha gettato una luce terribile sulla regione anche se la nostra terra non la merita, essendo una realtà socioeconomica con punte di grande eccellenza in tanti settori.
La domanda è: stiamo utilizzando al meglio queste risorse? Risposta: no. Quindi vediamo cosa c’è da fare per mettere a sistema tutto questo e cercare di far funzionare al meglio le cose. Magari anche attraverso il giornale che deve fare informazione di servizio, ma anche proporsi come interlocutore anche per la classe dirigente».
Claudio Carella