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Occhio non vede cuore non duole

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Nella storia millenaria del pianeta rappresentiamo meno di un battito di ciglia ma ci comportiamo come se fosse nostro. Poi di tanto in tanto un evento naturale ci sorprende e ci sveglia, almeno per un po’. Per sopravvivere dobbiamo smettere di consumare suolo. Parafrasando De André: “Dal cemento non nasce niente dalla terra nascono i fior” Partiamo da un assunto: non esistono disastri naturali ma solo eventi, normali e abituali nella millenaria storia del pianeta Terra, che si trasformano in disastri per i nostri errori. O, se preferite, per la nostra presunzione che ci porta a pensare che un argine possa sempre e comunque frenare un fiume in piena, che un muro abbia forza sufficiente per impedire uno smottamento, che una pur poderosa costruzione possa resistere a una valanga… In realtà sappiamo, e gli eventi di inizio 2017 lo hanno per l’ennesima volta ampiamente dimostrato aprendo gli occhi anche ai più scettici, che c’è un’unica strategia veramente efficace per contrastare le emergenze, ed è quella della prevenzione.

Lo sappiamo ma non facciamo tesoro di questa consapevolezza. Persino il disastro del Vajont non è bastato per scongiurare nuovo cemento a ridosso del fiume nella stessa zona nella quale nel 1963 si contarono oltre 1900 morti! Calcoliamo gli eventi con un metro inadeguato, basato sulle poche decine di anni di ogni nostra esistenza. Non funziona così: i 3 secoli trascorsi tra i terremoti che hanno sconvolto il centro Italia nel 1700 e quelli tragici che stanno segnando il terzo millennio sono meno che un batter di ciglia calcolati nella scala dei tempi geologici. Che cosa vuol dire? Che sicuramente prima o poi accadrà ancora e che dovremmo agire prendendo finalmente atto di un dato essenziale; viviamo in una terra che dal punto di vista sismico è a dir poco fragile, che si muove come nessuna altra parte d’Europa. Dovremmo prendere ad esempio Paesi, come il Giappone o la California, che stanno peggio di noi ma che hanno saputo meglio convivere col proprio territorio, a tal punto da minimizzare i rischi. In Italia si continua invece a inseguire le emergenze. Né può valere l’alibi economico. Mettere in sicurezza il Paese richiederebbe impegni economici per 44 miliardi di euro. Una enormità, certamente. Ma appena un quarto dei circa 175 miliardi spesi nell’ultimo mezzo secolo per far fronte alle emergenze!

Cambiare si può, ma richiede uno sforzo anche culturale. Una prima soluzione viene, indirettamente, dalla recente iniziativa che quattrocento organizzazioni non governative europee hanno avviato per ottenere una direttiva comunitaria che difenda il suolo, bene essenziale alla vita come l’acqua e l’aria. Sotto la bandiera People4soil è stata avviata una raccolta di firme, con l’obiettivo di collezionarne mille entro il 2017 in almeno sette Paesi europei. In Italia hanno aderito in tanti: il WWF naturalmente, e Legambiente, ma anche le Acli, Coldiretti, il FAI, l’Istituto Nazionale di Urbanistica… L’elenco completo delle sigle è sul sito salvailsuolo.it, collegandosi al quale è anche possibile firmare la petizione on line. Prima di collegarvi tenete a portata di mano la carta d’identità. Niente di impegnativo: neppure cinque minuti e avrete dato un importante contributo per rendere un po’ migliore il futuro dei nostri figli e dei nostri nipoti. L’obiettivo, certamente condivisibile, è il varo di una direttiva europea che valorizzi il suolo e ponga fine al suo scriteriato consumo, nel quale ci stiamo specializzando negli ultimi decenni.

Ce n’è davvero bisogno. Ogni anno in Europa spariscono sotto il cemento 1000 kmq di terra fertile, un’area estesa come l’intera città di Roma! L’Italia e l’Abruzzo non stanno meglio. Ancor più se si guarda alla qualità delle costruzioni. Perdonate le ricorrenti autocitazioni (sono responsabile abruzzese del WWF) ma su questi temi l’associazione nella quale mi riconosco è particolarmente attiva. Il WWF dunque ha di recente presentato due inquietanti dossier. Nel primo, redatto a 50 anni dall’alluvione di Firenze e diffuso nel novembre dello scorso anno, si “rivela” che nell’ultimo mezzo secolo la vulnerabilità idrogeologica del nostro territorio è ulteriormente aumentata. Anche il disastro del 1966 evidentemente non ci ha insegnato nulla. Abbiamo continuato come niente fosse a spargere cemento, occupando molte delle aree di esondazione dei fiumi. Il caso più clamoroso è quello della Liguria, dove un quarto del terreno, entro la fascia di 150 metri dagli alvei fluviali, tra il 2012 e il 2015 è stato conquistato dalle costruzioni. Sarà un caso se proprio quella regione è stata in anni recenti al centro della cronaca per disastrose alluvioni? L’Abruzzo viaggia un po’ meno peggio ma la situazione non è comunque confortante: al 2015 la percentuale di suolo cementificato era del 4,8% (media nazionale 7,8%) con un incremento dal 2012 pari allo 0,8%. Se poi guardiamo alla costa, la parte più urbanizzata della regione, il terreno consumato nella fascia dalla battigia ai primi 300 metri verso l’interno tocca il 36,3% con incremento del 3,0% tra il 2006 e il 2012 e dello 0,3% tra il 2012 e il 2015. L’altro dossier al quale facevo cenno porta la autorevole firma, accanto a quella del WWF, dell’Università dell’Aquila e per essa del prof. Bernardino Romano.

Riguarda le costruzioni in zone sismiche 1 e 2, quelle a maggiore rischio. Ebbene in 40 anni le case sono più che triplicate, mentre la popolazione diminuiva. Quasi come in un gioco di prestigio: siamo di meno, abbiamo bisogno di meno case e ne costruiamo di più. Darwin ci ha insegnato che alla lunga gli organismi di maggior successo sono inevitabilmente quelli che meglio si adattano all’ambiente, non quelli che si illudono di poter fare il contrario, come noi che vorremmo piegare alle nostre esigenze il mondo che ci circonda. Il grattacielo più alto del mondo, la diga più imponente, la piazza più vasta… soltanto record effimeri che possono gratificarci nell’orgoglio ma non contribuiscono in alcun modo a riempirci lo stomaco.

L’aria respirabile, l’acqua pulita, il suolo fertile… checché ne pensi l’UNESCO sono questi i soli “patrimoni dell’umanità” cui veramente non possiamo rinunciare. Dovremmo tenerci di più, sforzarci di conservarli. E, come ulteriore misura cautelare, evitare azioni sconsiderate che ci rendono inermi di fronte ai fenomeni naturali: mai più costruzioni nelle zone di esondazione dei fiumi, sotto il fronte delle valanghe, in zone a rischio idrogeologico; mai più costruzioni fragili in aree soggette a movimenti sismici; mai più inutile avanzata del cemento… Il problema è che, nella limitata prospettiva delle nostre esistenze, abbiamo una errata percezione del rischio: quando diciamo quella zona accanto al fiume è sicura perché negli ultimi 150 anni non si è mai allagata non ci rendiamo neppure conto che abbiamo pronunciato una affermazione del tutto priva di significato: 150 o 200 o anche 500 anni sono un’inezia nei tempi geologici e oggi i cambiamenti climatici in atto hanno accelerato i ritmi e reso frequenti eventi che sino a qualche anno fa potevamo, nella nostra piccola scala temporale, legittimamente ritenere eccezionali.

L’esigenza primaria è diventata quella di far fronte, per quel che possiamo, al clima che cambia visto che i nostri incauti comportamenti rientrano certamente tra le cause dell’accelerazione. E fermare o almeno frenare il sin qui dissennato consumo del suolo fertile, l’unico che può darci da mangiare, è diventato un obbligo. In Abruzzo alla conferenza stampa di presentazione di People4soil, accanto a WWF, Legambiente e Coldiretti, erano presenti il sottosegretario con delega all’ambiente Mario Mazzocca, che con il suo settore ha convintamente aderito, e il sindaco di Tollo Angelo Radica che sventolava orgogliosamente la variante al piano regolatore del suo paese con la quale è stato reso inedificabile gran parte del territorio comunale. Cambiare si può. Basta crederci. E volerlo davvero.

Luciano Di Tizio

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