Andiamo con ordine, a cominciare da questa strana parola. L’ha inventata nei primi anni ‘80 del secolo scorso un biologo statunitense, Eugene F. Stoermer che ha utilizzato questo termine, più esattamente anthropocene con la grafia anglosassone, per evidenziare l’impatto dell’uomo sul pianeta Terra. Per una ventina d’anni ne hanno parlato studiosi ed esperti, ma nessun’altro. Sino a quando un altro scienziato, il Premio Nobel per la chimica Paul Crutzen, lo ha adottato per intitolare un suo fortunato libro, “Benvenuti nell’Antropocene”, edito nel 2000. Una parola inventata per sintetizzare un concetto complesso e un buon successo editoriale rappresentano certamente importanti premesse, ma la scienza chiede di più: quanto meno da Galileo in poi (ma in realtà anche prima, quantomeno tra le menti più illuminate) procede verificando ogni ipotesi e misurandola con il rigoroso metro dell’esperimento. La comunità dei geologi, quelli tra gli studiosi che si occupano di misurare le ere della storia della terra, ha deciso di approfondire la questione e nel 2009 ha istituito un gruppo di lavoro sull’antropocene, chiamato appunto a valutare la fondatezza della ipotesi nata da Stoermer e Crutzen e nel frattempo fatta propria da decine di esperti: è lecito pensare che l’uomo intervenga così tanto pesantemente sul mondo nel quale vive da meritarsi che gli venga intitolata una nuova era geologica o quantomeno un periodo? Qui urge una parentesi, per i non addetti ai lavori e per tutti quelli che hanno qualche difficoltà nel tenere a mente le nozioni faticosamente incamerate nelle aule scolastiche: la storia della terra la dividiamo in ere e ciascuna era viene a sua volta suddivisa in vari periodi. Ricordate? Il lunghissimo Precambriano da 4600 a 570 milioni di anni fa è suddiviso in tre periodi: Adeano, Archeano e Proterozoico. Poi c’è il Paleozoico (570 - 251 milioni di anni or sono) con Cambriano, momento della prima grande esplosione della vita sulla terra con una incredibile moltiplicazione delle specie viventi, Ordoviciano, Siluriano, Devoniano, Carbonifero e Permiano. Quindi il Mesozoico: 251-65,5 milioni di anni or sono, in termini geologici più o meno l’altro ieri. Qui i nomi dei periodi cominciano ad esserci meglio noti, merito anche di qualche libro e film di successo: Triassico, Giurassico e Cretaceo, teatro, quest’ultimo, della quinta e più famosa estinzione di massa, quella che ha cancellato dal pianeta i dinosauri. Infine il Cenozoico (Paleogene, Neogene, Pleistocene e Olocene sono i suoi periodi) che abbraccia gli ultimi 65,5 milioni di anni sino ad oggi. Oppure sino a ieri se l’Antropocene entrerà ufficialmente nel conteggio. Lo stato dell’arte al momento è questo: il gruppo di lavoro di cui si diceva ha approfondito l’argomento a lungo, stiamo parlando d’altronde di studiosi che gli anni abitualmente li contano a milioni, e infine, nel più recente congresso geologico internazionale, l’estate scorsa a Città del Capo, ha presentato le sue valutazioni. Nella relazione, resa pubblica il 29 agosto 2016 (segnatevi la data: potrebbe diventare storica), gli esperti del gruppo di lavoro hanno concluso che stiamo davvero vivendo in una nuova era geologica, un’epoca nella quale gli esseri umani stanno rimodellando la Terra. È stata anche stabilita una data di inizio, per la nuova era, insolitamente precisa: l’Antropocene avrebbe avuto inizio intorno al 1950, appena 65 anni or sono. Capirete che per gente abituata a ragionare su tempi che alla gran parte di noi riesce difficile persino immaginare cotanta precisione fa storcere il muso. La comunità dei geologi non è unanime di fronte all’idea di accettare la clamorosa novità. La maggioranza tuttavia è d’accordo e i consensi crescono costantemente. Del resto le prove non mancano e sono pesanti, scritte addirittura nelle rocce. Dagli anni cinquanta del secolo scorso, infatti, i radionuclidi, elementi radioattivi provenienti da centinaia di test atomici svolti nell’atmosfera, sono rinvenibili nei sedimenti praticamente in ogni angolo del pianeta. Abbiamo inoltre disseminato ovunque frammenti di plastica, particelle di alluminio e di cemento e le minuscole palline di carbone non bruciato che escono dalle nostre centrali elettriche. Tutto materiale che inevitabilmente finisce nei fanghi destinati un giorno a consolidarsi in roccia. Solo questo? No di certo. Stiamo anche condizionando il clima, attraverso il riscaldamento globale favorito dall’emissione di gas serra. Come effetto collaterale stiamo sciogliendo i ghiacci e innalzando il livello del mare mentre noi stessi e i nostri animali addomesticati rappresentiamo oltre il 90 per cento di tutti gli animali terrestri di grossa taglia (per intenderci: consideriamo tali quelli più grandi di un pollo) presenti sul pianeta e le nostre coltivazioni hanno sostituito le piante selvatiche su gran parte delle terre fertili del globo. Basta e avanza per affermare che abbiamo già lasciato una traccia indelebile della nostra esistenza nelle rocce. Antropocene sia, dunque. Sperando non sia l’ultimo gradino della scala che noi stessi abbiamo inventato: nella storia della terra ci sono state sinora almeno cinque estinzioni di massa, che hanno portato alla scomparsa di percentuali impressionanti di specie, tra il 96% e il 75% di quelle in ciascuna epoca esistenti. La più recente, quella del Cretaceo, favorita tra l’altro dalla caduta di un immenso meteorite, ha eliminato, secondo le stime della scienza, circa il 76% degli animali viventi, spianando la strada al successo dei mammiferi, che ci vede protagonisti assoluti. Oggi si parla di sesta estinzione di massa, appena dietro l’angolo nel futuro prossimo del pianeta. Si dice, prove alla mano, che la stiamo favorendo con i nostri comportamenti incoerenti e che potremmo auto-distruggerci. C’è chi non ci crede ma le prove sono davanti agli occhi di tutti. Basta non lasciarsi condizionare dal ritmo travolgente dei film catastrofistici in cui il disastro è condensato nelle due ore della proiezione, compreso l’intervento risolutivo dell’eroe che ci salva. Nella realtà dei fatti anche se l’estinzione nei tempi geologici richiede appena un battito di ciglia, per noi si tratta di secoli e millenni. La sesta catastrofe verso la quale ci stiamo avviando potrebbe già essere in corso: dall’inizio della storia, più o meno dal 3000 a.C., si sono estinte – molto spesso per colpa nostra – oltre 120 specie di mammiferi e 140 di uccelli e una infinità di altre. Stime quasi certamente errate per difetto. L’uomo è una creatura intelligente. Può creare le premesse per la propria distruzione, ma può fare anche il contrario e agire per tutelare il mondo e quindi anche se stesso. Siamo entrati nell’Antropocene: prendiamone pure atto ma diamoci da fare per cercare di restarci a lungo…
Luciano Di Tizio
Antropocene sarà lei
Il termine, ancora poco conosciuto, indica l’era geologica che stiamo vivendo. Speriamo (e operiamo) di evitare la fine toccata ai mastodontici abitanti del Giurassico. Se quello che credevate essere il vostro migliore amico vi apostrofa con un poco lusinghiero “tu vivi nell’Antropocene”, non affrettatevi a consultare un avvocato per verificare se ci sono gli estremi per una querela. Potrebbe avere infatti perfettamente ragione, anche se la questione è ancora tutta da chiarire e se ci vorrà forse qualche anno ancora per definirla a livello mondiale.