«Fin da ragazzo ho sempre avuto il senso della libertà e della giustizia, tanto che la scelta professionale in giurisprudenza è giunta istintivamente a 15 anni, in occasione della vincita di una borsa di studio in America. Mia madre all’epoca mi domandò cosa volessi fare da grande e io risposi che volevo fare l’avvocato. Ho avuto la fortuna di nascere in un piccolo centro, con una vita sociale molto ricca e ho un innato senso del dovere. Mi piace molto comunicare e amo l’insegnamento. Credo nella famiglia, e proprio per questo non ne ho formata una mia: ho un carattere esuberante, sono un nomade del pensiero e delle esperienze, il mio forte non è la stabilità. Il mio mestiere, che è anche la mia passione, si divide in due mondi: la giustizia, ovvero la professione di avvocato, e l’insegnamento universitario. Due mondi che si contemperano anche col senso di socialità. E poi io sono un civilista, il che significa che cerco di risolvere i problemi delle persone e quindi di rendermi utile.
Vivo a Pescara per la metà del mio tempo, e per l’altra metà nel resto del mondo, con preferenza per Parigi, Londra e spesso gli USA. D’estate vivo in simbiosi col mare, adoro la Sardegna, il golfo di Napoli e la Grecia, oltre che la spiaggia pescarese. Senza Grecia non saprei stare. A Pescara mi sento a casa, ma il mondo non mi fa paura. Quest’anno sono stato alle Hawaii, ho scoperto un luogo che in parte non conoscevo: profondità immense, strade stupende, boschi... io amo la natura ma sto bene in mezzo alla gente, non a caso sono cresciuto in un piccolo paese abruzzese».
Ma la sua professione?
«La svolgo prevalentemente in Italia ma ho avuto e ho ancora esperienze a Parigi. È una città di cui
amo anche gli aspetti culturali, così come per l’Inghilterra e la Spagna. Ma mi piacciono anche i Paesi scandinavi e la Russia. Il mondo intero mi stimola curiosità intellettuali».
Come si svolge il suo lavoro?
«Mi occupo di diritto commerciale e amministrativo, fin da quando in Abruzzo erano ancora poche le società per azioni. Ho cercato di ritagliarmi una funzione di “consigliere” per gli imprenditori. Il mio lavoro riguarda soprattutto le controversie economiche di un certo livello, sono spesso avvocato di banca ma cerco di non avere un rapporto troppo stretto col cliente; diciamo che sono uno “specialista”. Ovviamente faccio anche lavoro di combattimento in tribunale, ma prevalentemente in Cassazione. Mi piace quello che faccio e credo che in questo momento conti molto il valore aggiunto della mia professione, ovvero saper anticipare i temi e portare i clienti verso nuove figure di lavoro e nuovi contratti».
Qual è il suo cliente tipo?
«Ci sono due livelli: da un lato i manager e i grandi imprenditori, dall’altro qualunque cliente abbia un’esigenza morale o di giustizia da tutelare avrà sempre da me una mano, anche fosse solo un consiglio. Non ho mai curato il diritto di famiglia, ma durante l’estate ho studiato la legge Cirinnà proprio per anticipare i temi. La professione dell’avvocato moderno non è di essere servus principis, è necessario un maggior distacco. In via emblematica posso dire che per avere una visione precisa del mio lavoro ho avuto tra i miei clienti molte industrie venete dell’ottica, come Lozza, Sàfilo, e ho affrontato molto spesso tribunali a Milano, Bergamo, Brescia, in tema di controversie su marchi e brevetti. In Abruzzo è noto che Filippo De Cecco sia un mio carissimo amico, per il quale ho curato alcune questioni. Tra le banche preferisco lavorare con quelle nazionali, ma ho aiutato anche alcune Bcc, che non hanno una grande struttura centrale ma danno fiducia perché sono ben radicate sul territorio; per i privati ho avuto alcuni casi di successioni, come quello della Mion a Padova, che mi portò fino a Singapore. Comunque delle mie sedi principali Milano è stata quella abituale fino alla fine degli anni ‘90. Al sud sono tornato da poco: Napoli, Bari... sono andato per lavoro 4 volte in Sicilia. Con i clienti ho un rapporto piuttosto severo, ma va anche detto che a differenza delle nuove generazioni, io sono un avvocato vecchio stile, accentratore, lavoro da solo; non è facile lavorare con me, per questo non ho uno studio con 50 collaboratori. Voglio che il cliente si senta seguito. Lui parla con me e se accetto il lavoro io il problema lo affronto e lo risolvo. Il futuro, purtroppo, sarà invece delle grandi società di professionisti, che portano gli avvocati a diventare imprenditori di servizi, e a me questo non piace. La mia generazione sarà l’ultima o la penultima ad avere questo tipo di rapporto umano col cliente».
E’ considerato un luminare ma con quali altri grandi avvocati si è scontrato?
«Durante una importante vicenda professionale che si svolse a Milano ebbi come avversari il professor Grassetti e un grande avvocato, ancora vivente, che si chiama Alessandro Pedersoli - sì, è cugino di Bud Spencer - e all’epoca avvocato della Pirelli. Era il principale studio di Milano e lì affrontavo (perché avevo impugnato il bilancio di una delle società da loro seguita). Sono stato il primo in Italia ad impugnare i bilanci delle grandi società per azioni. Tutto cominciò con un collega romano, Enrico Picchioni, che mi spinse a impugnare il bilancio della Rai. Era il 1970. La trasformai in una prassi, e la introdussi nelle controversie che seguivo al Nord, dove questa cosa non si concepiva. Ho avuto come avversari studi importanti come Chiomenti, Carnelutti, ma ho preferito vivere in provincia per lo stile di vita diverso da quello delle grandi città. Anche perché avevo immaginato un mondo dove grazie al telelavoro si andasse a valorizzare la persona e non più il luogo dove si lavora.
Quando ho scelto di fare l’avvocato avevo due modelli: uno classico, sussiegoso, un po’ tenebroso, triste; un altro invece allegro.
E poiché io ho attitudine alla comunicazione e credo molto nel dialogo - dal dialogo vengono fuori le qualità, c’è un arricchimento reciproco perché chiunque, a qualsiasi livello sociale, può darci un messaggio - e per mia natura sono estroverso, mi apro, non erigo difese, sto bene con gli altri e mi piace affrontare qualunque argomento. Quando sono a Pescara e vado al bar, se sento parlare di calcio parlo di calcio anche io, di basket, di politica. Questo modo di comunicare mi piace, mi fa stare bene. Non sono capace di odiare nessuno, al massimo mostro indifferenza. Un luogo che ho smesso di frequentare è lo stadio, perché nello stadio le persone scatenano le loro passioni e perdono il controllo. La mia squadra del cuore è il Milan, poi viene il Pescara; quando guardo una partita mantengo sempre una certa obiettività, così cerco di evitare di stare vicino a quelli un po’ più focosi. Del resto mi dispiace che non ci siano più centri di aggregazione sociale come Piazza Salotto o i Gesuiti, siamo sempre più isolati nel nostro piccolo microcosmo. Forse questo mio amore per la socializzazione, per la comunicazione verbale, viene non solo dall’educazione e dalla cultura paesana che mi caratterizza, ma anche dall’esperienza di cinquant’anni di insegnamento universitario: sto sempre coi giovani, sono con loro aperto e disponibile, mi piace parlare con loro. Tanto che poi qualcuno si meraviglia che in sede d’esame io sia molto severo, ma non voglio ambiguità nei rapporti. In fondo un sorriso, un aiuto, non costa nulla.
Molti si chiederanno perché, con un carattere così aperto ed estroverso, io non mi sia fatto una famiglia. Ci sono molte spiegazioni, e molte circostanze al di fuori della mia volontà che era quella di trovare una persona un po’ particolare, un po’ artistica, perché il senso del matrimonio tradizionale, pieno di doveri e convenzioni, io non l’ho mai avuto. Sono figlio anche io di quella rivoluzione culturale che fu il ‘68, e non mi è mai piaciuta la donna “regina della casa”. Mi piacciono le donne con grande personalità, autonome e indipendenti, ma c’è anche una via di mezzo.
Mi piace la montagna, ma preferisco andarci da solo. Amo la natura ma non sono favorevole ai terrorismi ambientali: pur consapevole che esistono gravi problemi di sostenibilità ambientale, che scuotono le coscienze ecologiste, sono convinto che il mondo cambierà ma che l’uomo resterà su questa terra ancora per molto tempo. Ho avuto modo di visitare luoghi “estremi” del pianeta, a Nord (sono arrivato quasi vicino al Polo) e a Sud: in Nuova Zelanda ho vissuto bellissime esperienze, sono arrivato vicino all’Antartide. Sono affascinato dalla cultura orientale, ma non ho quel senso mistico degli asiatici, mi manca la cultura religiosa. I Paesi arabi invece li conosco poco: sono stato in Africa in varie occasioni e ho visitato la Libia, la Somalia, la Tunisia. Sono stato in Libano e in Siria prima del 2000. Ne ho viste di cose insomma e non credo che siamo alla fine del mondo: sopravviveremo, e mai ci sarà un’altra città come Roma.
Quando qualcuno mi chiede se difenderei un cliente che ha sicuramente torto, io dico che cerco di interpretare, ma non difenderei chi avesse come unico obiettivo il denaro».
Testo e foto di Claudio Carella
Pensiero nomade
Nelle foto, Osvaldo Prosperi nel suo studio a Pescara
Nelle foto, Osvaldo Prosperi nel suo studio a Pescara
Sorriso travolgente, comunicazione poliglotta, affabilità istintiva, proprio non si direbbe un avvocato meticoloso, docente e luminare riconosciuto di diritto civile (non proprio una disciplina “frizzante”).
Osvaldo Prosperi ha le sue radici in Italia e in Abruzzo, e vuole onorarle fino in fondo.