Ci fa piacere averla a Pescara, ma non era Chieti la sua città d’elezione?
«Prima di Chieti io ho avuto, ed ho tutt’ora, un lungo e intenso rapporto con L’Aquila, prima da studente, anche se ho completato gli studi musicali al S.Cecilia di Roma, e poi come docente del Conservatorio. La mia “aquilanità” è stata tragicamente sancita dal terremoto del 6 aprile 2009: ero all’Aquila quella notte, il sisma mi ha colto nel sonno. La casa dove alloggiavo non c’è più, è crollata, io mi sono salvato per miracolo. Un’esperienza drammatica, traumatica, che mi ha segnato profondamente. L’Aquila era una città d’una bellezza straordinaria che io ho amato e amo profondamente. Mi creda, sarei disposto a qualunque cosa, a qualunque sacrificio personale, se servisse a farla tornare com’era».
Lei è stato direttore artistico del Teatro Marrucino per oltre dieci anni. Anche con Chieti ha avuto un rapporto molto intenso…
«”Intenso” è termine impegnativo eppure inadeguato nel mio caso. Ho dato l’anima a quella città e al suo teatro, dedicando tutte le mie energie, le mie capacità professionali ed artistiche, al rilancio e alla crescita del Marrucino. Ho realizzato stagioni liriche e sinfoniche da grande teatro, creando dal nulla una validissima orchestra di giovani musicisti abruzzesi. Ho inventato la Settimana Mozartiana, che dopo pochi anni è diventata l’evento culturale di maggior spicco in Abruzzo. Ho portato a Chieti grandissimi artisti come Riccardo Muti, Josè Carreras, Rajna Kabaiwanska, Massimo de Bernart, Mischa Maisky, Uto Ughi, Alberto Zedda, Salvatore Accardo, Michele Campanella, Gianluigi Gelmetti, Giorgio Carnini, Cecilia Gasdia, Lindsay Kemp. Molti di loro, Riccardo Muti ad esempio, vennero gratis, per stima e amicizia nei miei confronti».
Si dice che anche lei, per molti anni, abbia lavorato al Marrucino senza prendere una lira. È vero o è una leggenda metropolitana?
«È vero. Per sei anni ho lavorato gratuitamente. Ma non voglio menarne vanto: quando si insegue un sogno ogni sacrificio “è lieve al cor”, come dice il poeta».
Un sogno. Quale?
«Fare del piccolo Marrucino della piccola Chieti un grande teatro».
Ci è riuscito?
«Parlano i fatti. Nel 2001 una legge della Regione Abruzzo proclamò il Marrucino “Teatro lirico regionale”, con un contributo annuo superiore al milione di euro; nel 2003 ottenemmo il riconoscimento ministeriale di “Teatro di tradizione”; nel 2007 diedi vita e avviai la realizzazione di uno straordinario progetto: la Rete abruzzese dello spettacolo, facendo di tutti i teatri abruzzesi un unico circuito per le produzioni lirico-sinfoniche del Marrucino. Un bacino di pubblico da fare invidia alle maggiori realtà metropolitane del nostro paese. Un’iniziativa rivoluzionaria, che l’ostilità dei politici non mi consentì di gestire fino alla fine, costringendomi alle dimissioni».
Quali politici?
«Lasciamo perdere. Dico solo che non ho mai conosciuto tanta incultura e tanta meschinità come in taluni politici di Chieti».
Di destra o di sinistra?
«L’ignoranza e la piccineria dei comportamenti in quella città sono perfettamente trasversali».
Eppure, un anno fa, dopo la riconquista del Comune, la destra annunciò il suo ritorno alla direzione artistica del Marrucino…
«Sì, nell’immediato mi chiesero di organizzare la Settimana Mozartiana. Lo feci con l’entusiasmo, la professionalità e il successo di sempre. Senza prendere un centesimo, tanto per cambiare».
E poi, cos’è successo? Perché la destra cambiò idea?
«Non l’ho mai saputo, nessuno mi ha mai comunicato alcuna decisione. Posso solo avanzare qualche ipotesi».
Ad esempio?
«A Chieti, cosa mai successa prima, né con Cucullo né con il pur disastroso Ricci, il potere politico ha deciso di gestire e controllare direttamente e minutamente ogni aspetto della vita del teatro, non solo quello amministrativo, com’è giusto, ma anche le questioni che, per loro natura, richiederebbero competenze e professionalità specifiche, artistiche e tecniche. Avere tra i piedi uno con la mia esperienza e competenza dava fastidio, evidentemente».
Lei parla di “potere politico” ma tutti sanno che intende il senatore Di Stefano…
«Beh, il senatore ha chiesto e ottenuto la delega al Teatro Marrucino, quindi…».
Il senatore l’ha mai cercata?
«Dal novembre 2010 in poi, mai».
In compenso l’hanno cercata da Palermo…
«Un riconoscimento davvero lusinghiero». Insieme con l’Orchestra Nazionale della Rai e l’Orchestra dell’Accademia di S.Cecilia, l’Orchestra Sinfonica Siciliana costituisce il trio di vertice tra le formazioni orchestrali italiane, sia per l’eccellenza artistica che per la dotazione finanziaria. Insomma, una bella soddisfazione diventarne il direttore artistico…
«Una grande soddisfazione e una enorme responsabilità. Ci crede che avevo la possibilità di andare a Palermo già un anno fa?».
Ma ci ha rinunciato perché aveva la prospettiva di tornare al Marrucino…
«Già. Che scemo, eh?».
Lei si è scontrato duramente con Ricci, il sindaco di centrosinistra, ed i suoi rapporti con la destra chietina si sono interrotti bruscamente. Ha un rapporto pessimo con la politica…
«Grazie del complimento».
Ma lei sta a destra o a sinistra?
«In alto».
Prego?
«Le mie idee, la mia cultura, la mia stessa musica fanno riferimento alla dimensione del sacro, della spiritualità, del divino. La politica, anche nelle sue forme più nobili, vola molto, troppo più in basso».
Eppure, anni fa lei scrisse un’opera intitolata “D’io”: a qualcuno sembrò uno sberleffo alla divinità…
«Al contrario, quel titolo alludeva alla mia profonda interiorizzazione dell’idea del divino. Certo, non nego che ci fosse anche una componente di gioco intellettuale, non sono mica un bigotto. Del resto, come diceva Woody Allen, se uno deve ispirarsi ad un modello è meglio puntare il più in alto possibile…».
A Dio?
«Sì, a D’io».