Qualcuno l’ha paragonata, per drammaticità e proporzioni, alla strage nelle miniere di carbone di Marcinelle, in Belgio, dove l’8 agosto del 1956 persero la vita decine di minatori abruzzesi (complessivamente le vittime furono 262). Quattro-cinque metri di neve, forti scosse di terremoto a ripetizione, ghiaccio, valanghe, freddo siberiano, vento, allagamenti: la fine del mondo.
L’unica nota lieta è rappresentata dai pochi superstiti, in prevalenza bambini, estratti dalla neve e dai detriti dell’albergo dalle squadre di soccorritori che meritano un encomio. Strade bloccate, paesi sepolti dalla neve, case crollate, famiglie senza luce, senza cibo, senza acqua, senza riscaldamento, senza farmaci, persone uccise dal freddo, bestiame decimato, agricoltura in ginocchio, scuole e uffici chiusi: uno scenario incredibile che neppure i più vecchi ricordano. Frazioni di montagna nel Pescarese, nel Chietino, nel Teramano e nell’Aquilano isolate per giorni con temperature polari.
In alcuni borghi la neve ha raggiunto i cinque metri. Oltre al danno la beffa: una volta raggiunte con elicotteri, sci o motoslitte diverse famiglie, composte soprattutto da anziani, sono state evacuate e trasferite in alberghi sulla costa o presso case di parenti. Un impulso sinistro al triste e preoccupante fenomeno dello spopolamento delle zone interne.
Problemi anche sulla costa prima per la neve e poi per la pioggia incessante. Allagamenti a Pescara a causa dell’esondazione del fiume nei pressi del porto canale. Il tutto - tanto per non farci mancare niente - condito con una interminabile scia di polemiche e accuse su soccorsi, ritardi e scarsa prevenzione.
Per non parlare dell’inchiesta della magistratura che dovrà accertare eventuali responsabili penali. Si potevano evitare queste vittime? Non sarà facile dare risposte certe.