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Perse le gambe in guerra 95enne al raduno degli alpini

Valentino Di Franco, 95 anni il prossimo 23 novembre, è un reduce della campagna di Russia.
Ormai è un habitué al raduno degli Alpini di Isola del Gran Sasso, lui che ci è nato ma risiede a Monterotondo. Gambe amputate per congelamento dal ginocchio ai piedi, ben 14 interventi chirurgici, doveva morire nella steppa abbandonato dai commilitoni in ritirata. Nel raccontare la sua storia non nasconde l'emozione quando parla di Selenyj Jar. «Sono scampato a un bombardamento aereo dove sono morti tre commilitoni, uno proprio tra le mie braccia. Ogni secondo era buono per morire e pregavo San Gabriele e la Madonna di farmi riabbracciare i miei cari». Un momento di silenzio, poi con voce rauca riprende il suo racconto: «Penso a quei ragazzi come me che non sono più tornati e ai loro cari che li hanno attesi invano. Eravamo ragazzi come quelli di oggi, ma con le giacche stracciate, non con le pellicce. Anch'io ero come i ragazzi che incontro oggi nelle scuole. Oggi però hanno il mondo in tasca, con il cellulare. Noi avevamo gli occhi chiusi, non avevamo nemmeno la luce nelle case. Ma avevamo gli stessi sogni. Ed è per questo che mi rivolgo ai giovani di oggi raccomandando loro la pace. Oggi hanno la fortuna di avere tutto, mentre noi a 15 anni vivevamo nel purgatorio: senza nulla. Poi siamo passati all'inferno bianco e oggi, nonostante la mia sofferenza, sto vivendo il paradiso. Fino agli anni ‘80 queste cose sono state tenute nascoste dai nostri politici. L'essere tornati dal fronte era quasi una vergogna. Ricordare chi non è tornato dall'inferno russo è importante per mantenerne viva la memoria». Valentino, protagonista del libro "L'urlo della Katjuscia" (2003) di Miriam Vitiello e di una collana di filmati, "La guerra in casa" di Dario Franceschelli, doveva morire in Russia, come racconta lui stesso. «Avevo i piedi congelati perché per otto giorni sono rimasto nella neve, a 40 gradi sottozero. Ho camminato per 30 chilometri una notte intera nella steppa, solo; poi ho visto una slitta con dei soldati tedeschi, alla quale ho cercato di aggrapparmi. Ma col calcio del fucile mi hanno dato un colpo sulle dita e mi hanno fatto cadere. Ero quasi privo di conoscenza quando ho sentito una voce che mi diceva "Alzati che ce la fai". Ed è stato così. Oggi sono qui».

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